Hematopoiesis
Bone Marrow

Author: Rossana Critelli
Date: 09/04/2008

Description

ORGANIZZAZIONE DELLEMOPOIESI
Il costante processo di rinnovamento del cellulare assicurato giornalmente dall’emopoiesi, si fonda sulla presenza di una ristretta popolazione di cellule dotate della capacità di automantenersi e differenziare. Queste cellule sono chiamamte staminali emopoietiche e risulatano pari allo 0,005-0,01% di tutta la popolazione midollare.
L’automantenimento delle cellule staminali emopoietiche è indispensabile per impedire il loro esaurimento nel tempo ed è basato sulla capacità di ciascuna di queste cellule di dividersi, dando origine a due cellule figlie. Di queste, l’una rimpiazza la cellula madre, l’altra va incontro a differenziazione e maturazione. La combinazione e la capacità proliferativa e differenziativa delle cellule staminali emopoietiche è finalizzata allo sviluppo di cellule con potenzialità differenziativa e maturativa sempre più ristretta. Questo processo porta ad una notevole produzione di cellule emopoietiche mature e funzionalmente specializzate che dal midollo osseo vengono, infine, immesse in circolo.
Il midollo osseo presenta un microambiente unico nella sua capacità di favorire e supportare l’emopoiesi. Infatti, il microambiente emopoietico non ha funzione soltanto di supporto, ma anche di regolazione.

Il microambiente esercita la sua funzione sui precursori emopoietici attraverso 3 modalità operative:

  1. interazioni cellulari dirette o mediate attraverso segnali a breve raggio d’azione;
  2. secrezioni di fattori diffusibili, ad attività stimolatoria o inibitoria;
  3. elaborazione di una matrice extracellulare.
Nell’ambito dell’eritropoiesi sono note 2 classi di progenitori commissionati. Essi sono:
  • BFU-E o cellula che forma grandi colonie eritroidi in sistemi di coltura semisolidi;
  • CFU-E o cellula che forma piccoli aggregati eritroidi in sistemi coltura semisolidi.
Nell’ambito della mielopoiesi esistono almeno 6 classi di cellule staminali e di progenitori commissionati che in ordine gerarchico sono:
  • GFU-GEMM o cellula staminale multipotente formante colonie miste (granulo-eritro-macrofagico-megacariocitarie);
  • CFU-GM o cellula formante colonie granulo-monocitiche in sistemi di coltura semisolidi;
  • CFU-G o cellula formante colonie granulocitarie;
  • CFU-M o cellula che da origine a colonie monocitarie;
  • CFU-EO o cellula formante colonie di eosinofili;
  • CFU-Bas o cellulla formante colonie di basofili;
  • CFU-DC o cellula che da origine a colonie dendritiche.
Nell’ambito della megacariocitopoiesi (piastrinopoiesi) sono state identificate 2 classi di progenitori megacariocitari:
  • BFU-MK, più primitivo e dotato di spiccata attività proliferativa;
  • CFU-MK, più maturo, con minore attività proliferativa ed in grado di formare colonie megacariocitarie.

A seguito dell’ulteriore differenziazione dei progenitori emopoietici commissionati per una linea cellulare, prendono origine i primi precursori morfologicamente riconoscibili. Essi sono il proeritroblasto nell’ambito dell’eritropoiesi, il mieloblasto nell’ambito della granulopoiesi, il monoblasto nell’ambito della monocitopoiesi ed il megacarioblasto nell’ambito della piastrinopoiesi. Queste cellule non sono più dotate di caratteristiche di automantenimento, potendo soltanto dividersi e maturare. Il raggiungimento di un determinato grado di matuarazione comparta, infine, l’incapacità della cellula di dividersi.

FATTORI DI REGOLAZIONE DELLA PROLIFERAZIONE DELLE CELLULE EMOPOIETICHE
I meccanismi che inducono una cellula staminale ad autoreplicarsi o a differenziare verso linee emopoietiche ben definite e, successivamente, a maturare, non sono stati ancora definitivamente chiariti. Si ritiene, tuttavia, che il microambiente midollare e la presenza di particolari citochine prodotte dalle cellule accessorie e dalle cellule stromali midollari giochino un ruolo decisamente importante in questo processo.
Il termine citochine comprende i fattori di crescita propriamente detti e le interleuchine (ILs).
Le citochine possono essere classificate secondo il livello differenziativo delle loro cellule bersaglio ed il potenziale proliferativo in 3 categorie:

1. fattori specifici per una linea maturativa, capaci di stimolare cellule già commissionate. La maggioranza di questi fattori induce la proliferazione dei progenitori già orientati in senso maturativi e stimola le proprietà funzionali delle cellule differenziate. Rientrano in questo gruppo di citochine l’eritropoietina (EPO), regolatore fisiologico dell’eritropoiesi, M-CSF e IL-5, specifici per la linea monocito/macrofagica ed eosinofila, e la trombopoietina, specifica per la megacariocitopoiesi;

2. fattori linea-non-specifici, che agiscono su progenitori emopoietici di livello intermedio. Tra questi devono essere ricordati il G-CSF, IL-3, IL-4 e GM-CSF;

3. fattori che inducono il reclutamento nel ciclo cellulare dei progenitori più primitivi, cineticamente e funzionalmente inerti. Rientrano in quest’ultimo gruppo IL-6, IL-11, IL-12, FLT-3L, LIF (Leucemia Inhibitory Factor) e SCF (Stem Cell Factor). Queste citochine hanno un limitato effetto proliferativo, quando vengono utilizzate singolarmente, ma sono capaci di aumentare in maniera sinergistica o additiva la risposta di cellule CD34+ o di sottopopolazioni di cellule CD34+ non esprimenti antigeni di differenziazione a fattori addizionali come IL-3, GM-CSF, G-CSF, EPO.

I fattori di regolazione dell’emopoiesi sono prodotti principalmente dalle cellule accessorie mieloidi e dalla componente stromale del midollo osseo. La stessa matrice extracellulare partecipa al controllo dell’emopoiesi legandosi ai fattori di crescita e presentandoli in forma attiva alle cellule emopoietiche staminali.

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REGOLATORI NEGATIVI DELL’EMOPOIESI
La crescita dei progenitori emopoietici dipende anche da fattori solubili con regolazione negativa, fra questi sono compresi la proteina infiammatoria macrofagica-1α (MIP-1α), il fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), gli interferoni (IFNs), le prostaglandine ed il fattore di trasformazione neoplastica-β (TGF-β).
La famiglia del TGF-β comprende almeno 5 isoforme proteiche codificate da geni differenti e prodotte dalle cellule stromali, dalle piastrine e dagli osteoclasti. Fra le varie isoforme di TGF-β, il TGF-β3 si è dimostrato il più potente inibitore dell’emopoiesi umana, senza alcuna attività di stimolo dei precursori midollari.
Il TNF-α ha mostrato un’attività sia favorente che inibente la proliferazione dei progenitori emopoietici. Il TNF-α potenzia la crescita in vitro di cellule CD34+ stimolate dal GM-CSF o da IL-3, mentre inibisce l’attività proliferativa del G-CSF.
Il MIP-1α è un peptide prodotto da macrofagi attivati, cellule linfoidi-T e fibroblasti. Esso appartiene ad una famiglia di citochine (chemochine) comprendenti MIP-1P, MIP-2P e IL-8. La caratterizzazione biologica in vitro ha mostrato come il MIP-1α stimola la crescita di CFU-GM indotta dal GM-CSF e M-CSF ed inibisce l’attività formante colonie di cellule CD34+ stimolate con EPO, IL-3 e GM-CSF.
L’insieme di questi risultati indica che la proliferazione o l’inibizione delle cellule emopoieticamente attive è il risultato della complessa interazione fra fattori di regolazione positiva e negativa. In generale questi ultimi agiscono in maniera reversibile, senza specificità di linea differenziativa e la loro azione sembra diretta verso cellule a stadi precoci di maturazione.
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SVILUPPO E MATURAZIONE DI UN LINFOCITA B
La “storia” di un linfocita B si può suddividere in 2 fasi:
- una prima fase antigene-indipendente, in cui si ha la ricombinazione VDJ;
- una seconda fase in cui la cellula è pronta a riconoscere l’antigene.
Il linfocita B è una cellula in grado di non proliferare per anni, ma allo stesso tempo diventa in grado di farlo se opportunamente stimolata.
L’incontro con l’antigene può portare ad un doppio destino:
1. sviluppo di una plasmacellula a breve vita, tipico della risposta immunitaria primaria;
2. ingresso nel CG (Centro Germinativo): struttura altamente specializzata con duplice funzione:
- affinare la specificità antigenica del linfocita, mediante il meccanismo di ipermutazione somatica;
- espandere quantitativamente quei linfociti che montavano un recettore per l’antigene che si è rivelato particolarmente utile per eliminare un ospite indesiderato o comunque capace di riconoscere un antigene presente in circolo.

A questo punto il linfocita può tornare in una fase di quiescenza oppure può dare origine ad una plasmacellula.
In tutte queste fasi la cellula può dare origine ad un tumore che conserva le caratteristiche della fase differenziativa in cui l’evento è avvenuto. Perciò si possono avere tutta una serie di tumori che derivano:

A) da cellule che non hanno ancora avuto l’esperienza del CG, prima di essere passate dentro questa struttura,

B) da cellule che hanno già attraversato il CG ma che lo hanno poi abbandonato,

C) da cellule che sono nel CG (in questo caso la tumorigenesi avviene all’interno di questa struttura).

Tali aspetti sono fondamentali perché ci permettono di misurare con precisione la storia naturale del tumore (non ci si basa su morfologia o espressione proteica, ma si sequenziato i recettori per l’antigene e così si riesce ad avere un’idea del punto in cui è arrivato il linfocita).
Ciascun tipo di linfoma ha delle alterazioni genetiche caratteristiche. Per esempio, i tumori che originano dal CG hanno spesso una capacità proliferativa medio-alta (es. linfoma di Burkitt), ma vanno in apoptosi più facilmente e perciò sono più sensibili alla chemioterapia.

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2008-06-16T22:17:17 - Anna Lucia Buccarello

COINVOLGIMENTO DEI RECETTORI TIROSIN CHINASICI NELLEMOPOIESI NORMALE E PATOLOGICA

Il processo emopoietico è governato da processi di trasduzione del segnale altamente regolati, che sono mediati da citochine (Hematopoietic cytokines, Donald Metcalf, Blood, 111: 485-491, 2008) e dai loro relativi recettori (Signaling Through the Hematopoietic Cytokine Receptors J N Ihle et al., Annual Review of Immunology,13:369-398, 1995); tali citochine producono effetti multipli a seconda del tipo cellulare e del loro stadio differenziativo. Associata con la loro natura pleiotropica vi è la capacità di attivare una grande varietà di pathways del segnale che hanno effetti in parte sovrapponibili. La trasmissione dei segnali dalla superficie cellulare al nucleo avviene attraverso complessi processi di traduzione del segnale e risulta in cambiamenti della motilità, adesione, sopravvivenza, crescita e differenziazione.
Quando la cellula staminale ematopoietica differenzia il suo potenziale proliferativo si riduce, fino al punto da diventare davvero limitato nel momento in cui si originano cellule del sangue mature. L’emopoiesi è quindi spesso un bilancio tra differenziazione e capacità proliferativa, e la deregolazione di questo bilancio può risultare in patologie caratterizzate da un’iperproduzione di cellule progenitrici e/o mancanza del differenziamento nelle linee maturative, causando patologie ematologiche. Entrambi questi processi possono essere modulati da segnali citochinici, mediali dai rispettivi recettori. Tra questi una considerevole attenzione hanno ricevuto i recettori tirosin chinasici.

Classificazione delle proteine tirosina chinasi (PTK).

La fosforilazione delle proteine chinasi gioca un importante ruolo nella regolazione della trasduzione del segnale in diversi processi cellulari come la divisione cellulare, il differenziamento, la migrazione, il metabolismo, la sopravvivenza, l’apoptosi e la comunicazione intercellulare. Un gran numero di proteine chinasi sono state identificate e classificate come chinasi recettoriali e non-recettoriali. Si ritiene che il genoma umano contenga 518 geni che codificano per proteine chinasi, delle quali 90 sono proteine tirosin chinasi uniche: 58 tirosine chinasi di tipo recettoriale (RTK), raggruppate in 20 classi in base alla sequenza del loro dominio chinasico e 32 tirosin chinasi citoplasmatiche, non recettoriali, suddivise in 10 classi. Circa 30 oncosoppressori e più di 100 oncogeni sono ad oggi conosciuti e le proteine tirosin chinasi rappresentano una larga frazione di quest’ultimo gruppo.

Caratteristiche strutturali e regolazione fisiologica dei RTK.

Tali recettori sono costituiti da un dominio extracellulare, con il sito di legame per il ligando, ricco di residui di cisteina; una singola catena transmembrana lipofilica e un dominio intracellulare, a sua volta formato da una regione iuxtamembrana, da una regione ad attività tirosino-chinasica e da una regione con i siti di autofosforilazione.
Analizzando la sequenza amminoacidica delle varie tirosin-chinasi si è osservato che esse, nonostante la diversità in dimensioni e composizione, presentano una sequenza comune di circa 250 amminoacidi: questa regione è stata riconosciuta come responsabile dell’attività tirosin-chinasica (Fig 1).

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Fig 1 Recettori tirosin chinasici umani

I domini catalitici delle tirosin-chinasi eucariotiche, così come quelli delle Ser/thr chinasi, presentano una struttura e una sequenza altamente conservate. Il dominio chinasico è costituito da una struttura bilobata. Il lobo N contiene un foglietto beta ed una alfa-elica conservata (elica C). Il lobo C è fortemente elicoidale. All’interfaccia tra i due lobi è presente una tasca di legame per l’ATP, formata da residui estremamente conservati, e la struttura catalitica. Inibitori di piccole dimensioni delle protein-chinasi si legano al dominio chinasico a livello dello spazio tra i due lobi, spiazzando l’ATP (Fig 2).

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Fig 2 Rappresentazione tridimensionale del dominio catalitico delle tirosin chinasi

La fosforilazione delle proteine è rara è finemente regolata nelle cellule quiescenti ma abbondante nelle cellule che proliferano rapidamente o nelle cellule trasformate. Al contrario di quanto avviene nelle cellule normali, dove normalmente funzionano soprattutto chinasi proteiche, quali serina- e treonina-chinasi, e dove le tirosin-chinasi sono quasi inesistenti, nelle cellule tumorali il livello di attività tirosin-chinasica può aumentare di 10-20 volte. Per questo motivo le tirosine chinasi e i meccanismi di trasduzione del segnale possono essere identificati come potenziali bersagli per la progettazione di farmaci.
Il processo di attivazione del dominio catalitico è ben conosciuto nei RTK. Normalmente il legame del ligando alla porzione extracellulare del recettore dà l’avvio ad una cascata di eventi, che comprendono l’omodimerizzazione recettoriale, l’attivazione dell’attività chinasica intrinseca, la transfosforilazione intermolecolare dei residui tirosinici che promuove l’alterazione strutturale della chinasi ed il passaggio ad una conformazione attiva, l’associazione con proteine che traducono il segnale e la fosforilazione dei substrati (Fig 3).

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Fig 3. Meccanismo d'attivazione dei recettori tirosin chinasici

I residui di tirosina fosforilati nel contesto di specifiche sequenze servono come siti di aggancio per adattatori contenenti domini Src homology 2 (SH2) e molecole effettrici contenenti domini phosphotyrosine (PTB). In molti recettori la regione juxtramembrana intracellulare ha un importante ruolo inibitorio. Queste famiglie di proteine includono Shc, Crk, Grb2, Grb7, Gab1, le tirosina-cinasi Src, Chk, PI3K, MAPK e tirosina-fosfatasi (SHP1, SHP2) e enzimi coinvolti nel metabolismo dei fosfolipidi. Queste proteine sono responsabili della trasduzione del segnale. L’attivazione recettoriale viene spenta mediante dissociazione tra i recettori e i ligandi, mediante defosforilazione o mediante endocitosi dei recettori seguita dal loro reinserimento in membrana o dalla degradazione. Oltre ai recettori a tirosin-chinasi, che sono proteine integrali della membrana plasmatica, esistono anche tirosin-chinasi definite “non-recettori”, in quanto sono intracitoplasmatiche, localizzate subito all’interno della membrana cellulare (come la famiglia delle Src tirosin-chinasi). Esse, comunque, sono associate con varie membrane, a livello delle quali svolgono la loro attività chinasica
Nel contesto fisiologico, questi enzimi subiscono poi una rapida distruzione o in attivazione dopo aver svolto la loro funzione e questo permette alla cellula di eseguire correttamente le sue funzioni e procedere attraverso il ciclo cellulare. Le proteine chinasi costituiscono, quindi, un complicato sistema con intricate interazioni interne ed esterne, tale complessità e sofisticazione implica la loro vulnerabilità. Alterazioni nelle funzioni di questi enzimi possono causare una serie di cambiamenti patologici nella cellula, principalmente neoplastici.

I recettori tirosin chinasici coinvolti nell’ematopoiesi normale e patologica

È ormai noto che proteine appartenenti a differenti classi di RTK (es. II, III, IV, V, VII, XI, XIV) sono espresse nel tessuto ematopoietico normale, queste includono i recettori per M-CSF (c-FMS o CSF-1R), FLT3, stem cell factor (c-Kit) e PDGF. FLT3 è espresso nelle linee cellulari mieloidi, nelle cellule pre-B e nei monociti. Il ligando di FLT3, FL, incrementa l’attività di stimolazione delle colonie delle cellule progenitrici emopoietiche in sinergia con G-CSF, GM-CSF, M-CSF, IL-3, IL-6, IL-11, IL-12 o il ligando di Kit (KL). C-Kit è espresso, invece, nelle cellule staminali ematopoietiche e nei progenitori mieloidi, eritroidi, megacariocitari e dendritici, in cellule pro-B e pro-T e nei mastociti maturi. Nelle cellule mieloidi immature c-Kit influenza la sopravvivenza e l’apoptosi attraverso l’attivazione della PI3K. Il recettore per CSF-1 è principalmente espresso nelle cellule della linea macrofagica nello stadio tardivo di differenziazione.
In aggiunta al loro ruolo nel regolare l’ematopoiesi normale, un crescente numero di mutazioni in RTK, o nei componenti dei loro pathways del segnale, sono collegate con la patogenesi di malattie ematologiche, per esempio aumentati livelli di espressione di FLT3 sono presenti nella leucemia acuta mieloide (LAM) e nella leucemia linfoblastica acuta (B-ALL), ma il livello di espressione nella T-ALL è basso. In aggiunta, duplicazioni interne in tandem in FLT3 (ITD) e nel dominio tirosin chinasico (TKD) rappresentano le mutazioni più comuni nella LAM con circa il 30% dei pazienti affetti da AML che presenta una mutazione in FLT3. Le mutazioni in c-KIT sono, invece, fortemente correlate con lo sviluppo di mastocitosi. Sono quindi visti come importanti effettori nella patologia umana e rappresentano potenziali target terapeutici (Figura 4).

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Figura 4. Tirosin chinasi mutate in patologie umane

Sulla base di studi funzionali in vitro e in vivo le alterazioni genetiche possono essere raggruppate in mutazioni che portano ad un vantaggio di proliferazione e sopravvivenza (classe I), e mutazioni che regolano l’automantenimento e danneggiano il differenziamento cellulare (classeII). In generale, le mutazioni oncogene a carico delle proteine tirosin chinasi (PTK), che portano all’attivazione costitutiva della proteina, appartengono alla classe I; inoltre, se analizzate per loro potenziale trasformante, sono di solito sufficienti a trasformare le cellule ematopoietiche, rendendole indipendenti dalla presenza di fattori di crescita per la sopravvivenza e/o proliferazione, e a indurre nel topo un disordine mieloproliferativo leukemia-like.

Principali meccanismi di deregolazione oncogenica dei RTK.

L’attivazione costitutiva dei RTK è provocata da parecchi meccanismi che comprendono traslocazioni cromosomiche e varie mutazioni nelle loro regioni regolatorie. Le traslocazioni cromosomiche generano comunemente proteine chimeriche che consistono in un dominio citoplasmatico del RTK e in un dominio di dimerizzazione o multimerizzazione del partner di fusione, risultante in una costitutiva dimerizzazione del RTK. D’altra parte, anche mutazioni missenso, inserzioni o delezioni in regioni regolatorie, come il dominio juxtamembrana, il loop di attivazione, e il dominio extracellulare, causano una costitutiva attivazione dei RTK, principalmente prevenendo la regolazione autoinibitoria. Inoltre, un ulteriore meccanismo, che conduce ad un’ aberrante funzione dei recettori tirosin chinasici, è rappresentato dall’iperespressione, con o senza amplificazione genica, del recettore; infatti, è ampiamente riconosciuto che l’incremento della concentrazione locale del recettore ed i cambiamenti conformazionali nel dominio chinasico contribuiscono all’ up-regolazione dell’ attività chinasica, questo è dovuto al fatto che le chinasi attivate dal ligando sono capaci, a loro volta, di transfosforilare i recettori inattivi nelle vicinanze.
Nonostante le differenze nella struttura, nella normale funzione, e nella localizzazione subcellulare, molti di questi oncogeni tirosin chinasici trasducono il segnale attivando gli stessi pathways del segnale, che comprendono l’attivazione della fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K), le chinasi Ras/Raf/MAP, la fosfolipasi C (PLC) i trasduttori del segnale e attivatori della trascrizione (STAT) e NF-kB.

I RTK come bersaglio terapeutico.

L’evidenza che gli RTK sono importanti nella patogenesi dei disordini mieloproliferativi cronici e acuti ha spinto a ricercare degli inibitori come possibile intervento terapeutico. Bisogna infatti ricordare che la terapia tradizionale del cancro è principalmente basata su farmaci chemioterapici citotossici, la cui azione mira direttamente a danneggiare la sintesi del DNA, i meccanismi di riparo o ad impedire la duplicazione cellulare. Siccome questi processi sono comuni a tutte le cellule in divisione, molti agenti chemioterapici sono frequentemente accompagnati da effetti collaterali. La mancanza di specificità d’azione dei chemioterapici è la causa della loro considerevole tossicità. Il bagaglio di effetti indesiderati non è sempre controbilanciato da una soddisfacente remissione della malattia neoplastica. La scoperta dei cambiamenti molecolari a livello genico rappresenta, quindi, una pietra miliare per lo sviluppo di nuove terapie specifiche nei confronti delle cellule tumorali. Avendo le chinasi una loro specificità di substrato, il numero di proteine bersaglio della loro azione sembra essere relativamente limitato, quindi agenti terapeutici disegnati per colpire selettivamente questi recettori attaccano le cellule maligne e per la maggior parte risparmiano le cellule normali. In aggiunta le strategie terapeutiche sensibilizzano le cellule tumorali alla chemioterapia tradizionale e radioterapia. La quantità di funzioni fisiologiche che esse vanno a svolgere una volta attive è, però, enorme. Le tirosin-chinasi, pertanto, sono in continua fase di studio, in modo tale da poter essere ben caratterizzate.
Il Gleevec (Imatinib, STI-571) ha rappresentato il primo inibitore delle tirosin-chinasi ad essere immesso in commercio per la sua efficacia contro la leucemia mieloide cronica (LMC). Il suo successo ha lasciato ipotizzare che simili risultati potessero essere raggiunti nel trattamento di altri tumori, agendo a livello molecolare su proteine aberranti espresse dalla neoplasia. In realtà la complessità delle alterazioni molecolari inerente i tumori ha, in alcuni casi, deluso le aspettative, ma ha sicuramente offerto una nuova via di attacco e sviluppo farmacologico da associare alla chemioterapia o da utilizzare come trattamento alternativo ai farmaci citotossici.

2008-06-13T08:35:43 - Gianpiero Pescarmona

solo alcuni gruppi

class III (PDGF receptor family)

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