E. Coli
Bacterial Specificity

Author: Paolo Pais
Date: 24/02/2009

Description

Escherichia coli (commonly E. coli), is a Gram negative bacterium that is commonly found in the lower intestine of warm-blooded animals.

E. Coli in Crohn Disease

La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria granulomatosa che può colpire a tutto spessore qualunque tratto del tubo digestivo dalla bocca all'ano. Evolve in modo cronico, con frequenti riacutizzazioni e si complica con ulcere, fistole, ascessi, stenosi. In un'alta percentuale di casi sono necessari interventi chirurgici il cui scopo prevalente è palliativo, data la tendenza alla recidiva post-chirurgica. La qualità di vita dei malati è compromessa e i costi sociali altissimi.
Numerosi studi sperimentali hanno dimostrato il ruolo della flora batterica intestinale nello sviluppo della malattia di Crohn, infatti modelli murini geneticamente predisposti non si ammalano se cresciuti in ambiente germ-free. Inoltre è documentata l’efficacia terapeutica della diversione fecale nel trattamento della malattia di Crohn a localizzazione colica. Recenti osservazioni documentano la presenza di batteri Gram – all'interno dei tessuti prelevati dalle ulcere dei pazienti affetti. Si ritiene che la patologia sia alimentata dall’interazione tra la flora batterica e la mucosa dell’apparato digerente di pazienti dotati di terreno genetico predisponente.

RUOLO DI E. COLI

Alla fine degli anni ’90 alcuni studiosi francesi cercarono di rilevare la presenza di batteri endotissutali all’interno dei tratti di intestino interessati dalla malattia di Crohn. Recuperarono quindi frammenti di ileo provenienti da chirurgia resettiva praticata su pazienti affetti e sani, e rilevarono, attraverso tecniche colturali, che E. Coli era presente all’interno dei campioni provenienti dai malati con maggiore frequenza rispetto ai controlli sani. L’associazione fu sorprendente, ma restava da capire se l’invasione batterica tissutale osservata negli affetti avesse un ruolo patogenetico, o se fosse una conseguenza della malattia. La presenza di una protido dispersione nei pazienti con malattia di Crohn in fase attiva testimonia indirettamente un aumento della permeabilità degli epiteli interessati dalle lesioni. Ciò permette la dispersione endoluminale delle proteine fuoriuscite nell’ interstizio in seguito all’angioflogosi. Quanto descritto era sufficiente a spiegare l’invasione del tessuto. Ma perchè E. Coli e non altri batteri?

I ricercatori provarono a testare l’invasività dei batteri ricavati: crearono delle brodo-colture che inocularono in piastre contenenti monolayers di cellule Caco-2 e HEp-2. Dopo alcune ore di incubazione lavarono e introdussero nelle piastre una soluzione di gentamicina, che essendo un policatione non attraversa le membrane cellulari. Il trattamento avrebbe eliminato i batteri extracellulari. Dopo alcune ore seguì un ulteriore lavaggio, e lisi con Triton X-100. Il lisato cellulare venne seminato su agar e si osservò una crescita, misurata in cfu, di entità tale da dimostrare l’invasività del E. Coli in esame. Invasività che non differiva da quella di E. Coli enteroinvasivi ed enteroemorragici, e che venne confermata anche mediante microscopia elettronica a trasmissione. I ricercatori tentarono via PCR di scoprire, all’interno del genoma batterico, geni codificanti per fattori di virulenza/invasività/adesività noti, usando i primer corrispondenti. L’esito della ricerca fu che l’invasività non era attribuibile a geni noti. I ricercatori proposero dunque di creare un nuovo gruppo patogenetico: gli AIEC ( Adherent Invasive E. Coli ).

Successivamente venne dimostrato che

1) gli AIEC si moltiplicano in macrofagi murini J-774 senza distruggerli

2) gli AIEC sono in grado di indurre granulomi in vitro

3) gli AIEC si moltiplicano nei vacuoli fagocitici macrofagici

1) gli AIEC si moltiplicano in macrofagi murini J-774 senza distruggerli

La dimostrazione della capacità di invadere i macrofagi in vitro avviene sia mediante saggio di protezione contro la gentamicina, descritto in precedenza, sia con tecniche di microscopia elettronica a trasmissione

L’assenza di effetto citopatico viene dimostrata mediante determinazione delle concentrazioni di LDH nel surnatante, e rilevamento di prodotti di frammentazione del Dna

Viene dimostrata l’attività pro-infiammatoria degli AIEC. Si osserva infatti che i macrofagi infetti producono TNF-α in quantità 2.7 volte superiori a macrofagi non infetti stimolati con LPS. Questa proprietà potrebbe correlarsi all’infiammazione cronica di tipica della malattia di Crohn, e alla formazione dei tipici granulomi.

2) gli AIEC sono in grado di indurre granulomi in vitro

I ricercatori, utilizzando monociti prelevati dal sangue periferico di volontari sani, dimostrano con tecniche di microscopia ottica, confocale a fluorescenza ed elettronica a scansione che, in vitro, gli AIEC inducono l’aggregazione dei macrofagi infetti, la loro fusione a formare cellule giganti multinucleate, e il reclutamento linfocitario. Questo studio corrobora il ruolo patogenetico degli AIEC.

Un dato interessante è che il fenomeno sia riproducibile anche utilizzando sferette di sefarosio rivestite con estratti proteici ricavati dagli AIEC. Questo dato sembra significare che la patogenicità del batterio non sia del tutto legata alla sua vitalità e alle sue attività secretive.

3) gli AIEC si moltiplicano nei vacuoli fagocitici macrofagici

Esistono molti modi in cui i batteri possono resistere alla fagocitosi. Uno di questi consiste nell’alterare la maturazione del fagosoma in maniera tale che esso non fonda coi lisosomi (Micobatteri). Un’altra strategia è l’infiltrazione della via autofagica, attraverso la quale si può raggiungere il reticolo endoplasmatico (Brucella, Legionella). Un’altra ancora consiste nel lisare le vescicolee raggiungere il cytosol (Lysteria). Oppure si può semplicemente resistere all’ambiente lisosomiale senza alterare la maturazione dei compartimenti nè lisarli. Questo studio dimostra, osservando con tecniche di microscopia confocale a fluorescenza la distribuzione nel tempo e nello spazio dei marcatori dei compartimenti, che l’ultima strategia è quella adottata dagli AIEC. Il dato interessante è che non solo i batteri in questione resistono all’ambiente inospitale offerto dai fagolisosomi, ma ne hanno persino bisogno per vivere.

Somministrando cloruro d’ammonio e clorochina in concetrazioni non tossiche per cellule e batteri, ma sufficienti a deacidificare i lisosomi, si osserva una diminuzione della velocità replicativa degli AIEC, e quindi una loro diminuzione numerica. Dal momento che la disponibilità intravescicolare del ferro è condizionata dall’acidità, si è pensato che l’effetto sui batteri fosse dovuto a una ridotta disponibilità di ferro. Si è pertanto aggiunto citrato di ferro senza ottenere variazioni nei risultati, ed escludendo quindi che l’effetto della deacidificazione sulla crescita batterica fosse dovuto ad un deficit secondario di ferro (mentre invece il trattamento con ferro esogeno è in grado di ripristinare la replicazione della Legionella in condizioni analoghe). Si ritiene che l’acidità sia un potente induttore, negli AIEC, di proteine da stress indispensabili al loro sviluppo intralisosomiale. Tutte queste proprietà rendono i macrofagi un reservoir ideale per gli AIEC, rendendoli in grado di produrre uno stimolo infiammatorio di lunga durata, come capita nella malattia di Crohn.

CONCLUSIONI:

La terapia medica del Morbo di Crohn si avvale dell’utilizzo di antibiotici (per lo più chinolonici), corticosteroidi, immunosoppressori (azatioprina, methotrexate), farmaci biologici (infliximab, adalimumab), aminosalicilati (mesalazina). I ppi (omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo etc.) sono spesso somministrati ai pazienti per prevenire effetti collaterali a livello gastrico indotti da alcune delle terapie somministrate. Alla luce degli studi precedentemente citati si potrebbe immaginare un effetto terapeutico dei PPI nella malattia di Crohn: essi potrebbero infatti, somministrati ad alto dosaggio, inibire la crescita degli AIEC interferendo con il funzionamento delle V-atpasi lisosomiali

Purtroppo nessuno studio su casistiche adeguate è mai stato condotto, anche perchè i ppi vengono somministrati con la maggior parte delle terapie della malattia di Crohn, con conseguente mascheramento d’effetto. Sarebbe interessante confrontare una terapia che non richiede di norma la co-somministrazione di ppi, e quella stessa terapia condotta in abbinamento ai ppi (es. adalimumab da solo vs. adalimumab plus ppi), alla luce di quanto esposto sui meccanismi di sopravvivenza degli AIEC

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E-Coli1.gifgp28/02/2009
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