ISCHEMIA/RIPERFUSIONE
L’ischemia è un evento molto dannoso per il tessuto cardiaco e in generale per tutti i tessuti e l’unico modo per ridurne gli effetti è riperfondere il tessuto ischemico. Ma con la riperfusione solo alcune cellule danneggiate vanno incontro a guarigione: una buona parte perde invece completamente la funzionalità.
Nel miocardio sottoposto a I/R la morte cellulare avviene sia per necrosi che per apoptosi e quest' ultimo evento è indotto soprattutto dalla riperfusione.
Ma quali sono i meccanismi di danno?
(1) - Il ripristino del flusso coronarico in un vaso precedentemente occluso causa la produzione di anione superossido (O 2 ) ad opera di diversi complessi enzimatici. Questo anione ha un forte potere ossidante sulle fibre miocardiche già danneggiate dall’ischemia, favorisce l’apoptosi e rimuove l’ossido nitrico (NO). Questa rimozione causa una up-regolation delle molecole di adesione dei leucociti all’endotelio e quindi la loro migrazione tra le fibre miocardiche oltre a essere una causa di vasocostrizione e di formazione di microtrombi per il venir meno dell’azione antiaggregante piastrinica.
(2) - Un’altra causa di lesioni da riperfusione consiste nel sovraccarico di Ca2+: questo è causato dal mancato funzionamento dovuto all’anossia delle pompe specifiche sul sarcolemma sia dall’attivazione dello scambiatore Na+/Ca2+.
Questo sovraccarico oltre a causare disfunzioni aritmiche, aumenta l’osmolarità cellulare favorendo il rigonfiamento e la rottura delle fibre miocardiche.
(3) - L’NFkB, indotto da diverse sostanze, inoltre, aumenta le lesioni al miocardio attraverso meccanismi infiammatori.
Tutto ciò porta al fenomeno del “no-reflow”, ossia alla riduzione del flusso coronarico che avviene nelle aree riperfuse immediatamente dopo la riapertura di un’occlusione coronarica.
Questo quindi aggrava il danno della precedente ischemia.
PRE-CONDITIONING
Il precondizionamento ischemico, con brevi episodi di occlusione transitoria del ramo coronarico, paradossalmente, protegge contro i danni causati da un’ischemia prolungata seguita da riperfusione: in particolare (1) riduce l’area di infarto, (2) limita le aritmie da riperfusione, (3) diminuisce lo “stunning” (ipocontrattilità) del miocardio, (4) preserva le funzioni endoteliali, (5) riduce l’apoptosi.
La protezione che dà il precondizionamento può essere di due tipi: precoce (1-3 ore) e tardiva (72-90 ore) con un periodo intermezzo senza protezione (20-24 ore).
L’induzione della protezione ha inizio con l’apertura dei canali mitocondriali del K+ sensibili all’ATP (canali mitoK+ ATP): questa è favorita dal NO e dall’adenosina.
Infatti sperimentalmente è stato limitato il danno da I/R mediante donatori di NO e analoghi dell’adenosina.
Anche il diazossido è stato studiato come protettivo in quanto attiva selettivamente i canali mitocondriali del K+.
Nuovi studi affermano poi che la protezione avverrebbe attraverso la cascata antiapoptotica “reperfusion injury salvage kinase (RISK)”. Si pensa che tale cascata agisca impedendo l’apertura dei pori di transizione della permeabilità mitocondriale (PTPM), ossia bloccando uno dei passaggi che portano alla morte cellulare.
In conclusione il precondizionamento ischemico si è dimostrato clinicamente efficace nel ridurre gli effetti da I/R e nel migliorare la performance cardiaca. Tuttavia le sue potenzialità sono limitate dal fatto che l’evento ischemico non può essere predetto.
Questo ha stimolato la ricerca di procedure di protezione alternative, che superassero questi limiti di imprevedibilità.
POST-CONDITIONING
Il postcondizionamento sembra superare i limiti del precondizionamento in quanto l’azione si effettua dopo l’evento ischemico.
Da studi del 2003 si è visto come se subito dopo un’ischemia prolungata si eseguivano cicli di ischemia/riperfusione di pochi secondi, i danni erano notevolmente ridotti: si ottenne così una buona riduzione dell’estensione dell’infarto, dell’edema tissutale e della disfunzione endoteliale post-ischemica. Questi cicli però dovevano essere iniziati entro pochi minuti dalla riperfusione, in quanto è in questo periodo che si ha il picco (diverso da specie a specie e a seconda dell’entità dell’ischemia) nella liberazione di radicali liberi dell’ossigeno.
Si è visto infatti come la cardioprotezione da postcondizionamento è proprio dovuta soprattutto all’inibizione della formazione di questi radicali liberi, come però anche all’aumento della formazione di NO.
NO può portare alla formazione di PKG (protein chinasi G).
Questa gioca un ruolo importante perché è capace di aprire i canali mitoK+ ATP e inoltre riduce la sensibilità della troponina al Ca2+ come anche il sovraccarico citoplasmatico dello ione riducendo così la contrattura.
Inoltre anche per il postcondizionamento è stato proposto l’intervento della cascata RISK.
Gli studi sul postcondizionamento sono stati effettuati sia mediante brevi riocclusioni oppure in via farmacologica, meglio tollerata dai medici interventisti, che prevede la somministrazione di sostanze capaci di attivare la cascata antiapoptotica, donatori di NO o sostanze antiossidanti.
L’entità della protezione dopo post-C raggiunge complessivamente quasi i valori del precondizionamento ischemico e questo è sufficiente per intuire che questa pratica potrebbe avere in futuro grande interesse clinico.