ORGANIZZAZIONE DELL’ EMOPOIESI
Il costante processo di rinnovamento del cellulare assicurato giornalmente dall’emopoiesi, si fonda sulla presenza di una ristretta popolazione di cellule dotate della capacità di automantenersi e differenziare. Queste cellule sono chiamamte staminali emopoietiche e risulatano pari allo 0,005-0,01% di tutta la popolazione midollare.
L’automantenimento delle cellule staminali emopoietiche è indispensabile per impedire il loro esaurimento nel tempo ed è basato sulla capacità di ciascuna di queste cellule di dividersi, dando origine a due cellule figlie. Di queste, l’una rimpiazza la cellula madre, l’altra va incontro a differenziazione e maturazione. La combinazione e la capacità proliferativa e differenziativa delle cellule staminali emopoietiche è finalizzata allo sviluppo di cellule con potenzialità differenziativa e maturativa sempre più ristretta. Questo processo porta ad una notevole produzione di cellule emopoietiche mature e funzionalmente specializzate che dal midollo osseo vengono, infine, immesse in circolo.
Il midollo osseo presenta un microambiente unico nella sua capacità di favorire e supportare l’emopoiesi. Infatti, il microambiente emopoietico non ha funzione soltanto di supporto, ma anche di regolazione.
Il microambiente esercita la sua funzione sui precursori emopoietici attraverso 3 modalità operative:
- interazioni cellulari dirette o mediate attraverso segnali a breve raggio d’azione;
- secrezioni di fattori diffusibili, ad attività stimolatoria o inibitoria;
- elaborazione di una matrice extracellulare.
Nell’ambito dell’eritropoiesi sono note 2 classi di progenitori commissionati. Essi sono:
- BFU-E o cellula che forma grandi colonie eritroidi in sistemi di coltura semisolidi;
- CFU-E o cellula che forma piccoli aggregati eritroidi in sistemi coltura semisolidi.
Nell’ambito della mielopoiesi esistono almeno 6 classi di cellule staminali e di progenitori commissionati che in ordine gerarchico sono:
- GFU-GEMM o cellula staminale multipotente formante colonie miste (granulo-eritro-macrofagico-megacariocitarie);
- CFU-GM o cellula formante colonie granulo-monocitiche in sistemi di coltura semisolidi;
- CFU-G o cellula formante colonie granulocitarie;
- CFU-M o cellula che da origine a colonie monocitarie;
- CFU-EO o cellula formante colonie di eosinofili;
- CFU-Bas o cellulla formante colonie di basofili;
- CFU-DC o cellula che da origine a colonie dendritiche.
Nell’ambito della megacariocitopoiesi (piastrinopoiesi) sono state identificate 2 classi di progenitori megacariocitari:
- BFU-MK, più primitivo e dotato di spiccata attività proliferativa;
- CFU-MK, più maturo, con minore attività proliferativa ed in grado di formare colonie megacariocitarie.
A seguito dell’ulteriore differenziazione dei progenitori emopoietici commissionati per una linea cellulare, prendono origine i primi precursori morfologicamente riconoscibili. Essi sono il proeritroblasto nell’ambito dell’eritropoiesi, il mieloblasto nell’ambito della granulopoiesi, il monoblasto nell’ambito della monocitopoiesi ed il megacarioblasto nell’ambito della piastrinopoiesi. Queste cellule non sono più dotate di caratteristiche di automantenimento, potendo soltanto dividersi e maturare. Il raggiungimento di un determinato grado di matuarazione comparta, infine, l’incapacità della cellula di dividersi.
FATTORI DI REGOLAZIONE DELLA PROLIFERAZIONE DELLE CELLULE EMOPOIETICHE
I meccanismi che inducono una cellula staminale ad autoreplicarsi o a differenziare verso linee emopoietiche ben definite e, successivamente, a maturare, non sono stati ancora definitivamente chiariti. Si ritiene, tuttavia, che il microambiente midollare e la presenza di particolari citochine prodotte dalle cellule accessorie e dalle cellule stromali midollari giochino un ruolo decisamente importante in questo processo.
Il termine citochine comprende i fattori di crescita propriamente detti e le interleuchine (ILs).
Le citochine possono essere classificate secondo il livello differenziativo delle loro cellule bersaglio ed il potenziale proliferativo in 3 categorie:
1. fattori specifici per una linea maturativa, capaci di stimolare cellule già commissionate. La maggioranza di questi fattori induce la proliferazione dei progenitori già orientati in senso maturativi e stimola le proprietà funzionali delle cellule differenziate. Rientrano in questo gruppo di citochine l’eritropoietina (EPO), regolatore fisiologico dell’eritropoiesi, M-CSF e IL-5, specifici per la linea monocito/macrofagica ed eosinofila, e la trombopoietina, specifica per la megacariocitopoiesi;
2. fattori linea-non-specifici, che agiscono su progenitori emopoietici di livello intermedio. Tra questi devono essere ricordati il G-CSF, IL-3, IL-4 e GM-CSF;
3. fattori che inducono il reclutamento nel ciclo cellulare dei progenitori più primitivi, cineticamente e funzionalmente inerti. Rientrano in quest’ultimo gruppo IL-6, IL-11, IL-12, FLT-3L, LIF (Leucemia Inhibitory Factor) e SCF (Stem Cell Factor). Queste citochine hanno un limitato effetto proliferativo, quando vengono utilizzate singolarmente, ma sono capaci di aumentare in maniera sinergistica o additiva la risposta di cellule CD34+ o di sottopopolazioni di cellule CD34+ non esprimenti antigeni di differenziazione a fattori addizionali come IL-3, GM-CSF, G-CSF, EPO.
I fattori di regolazione dell’emopoiesi sono prodotti principalmente dalle cellule accessorie mieloidi e dalla componente stromale del midollo osseo. La stessa matrice extracellulare partecipa al controllo dell’emopoiesi legandosi ai fattori di crescita e presentandoli in forma attiva alle cellule emopoietiche staminali.
REGOLATORI NEGATIVI DELL’EMOPOIESI
La crescita dei progenitori emopoietici dipende anche da fattori solubili con regolazione negativa, fra questi sono compresi la proteina infiammatoria macrofagica-1α (MIP-1α), il fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), gli interferoni (IFNs), le prostaglandine ed il fattore di trasformazione neoplastica-β (TGF-β).
La famiglia del TGF-β comprende almeno 5 isoforme proteiche codificate da geni differenti e prodotte dalle cellule stromali, dalle piastrine e dagli osteoclasti. Fra le varie isoforme di TGF-β, il TGF-β3 si è dimostrato il più potente inibitore dell’emopoiesi umana, senza alcuna attività di stimolo dei precursori midollari.
Il TNF-α ha mostrato un’attività sia favorente che inibente la proliferazione dei progenitori emopoietici. Il TNF-α potenzia la crescita in vitro di cellule CD34+ stimolate dal GM-CSF o da IL-3, mentre inibisce l’attività proliferativa del G-CSF.
Il MIP-1α è un peptide prodotto da macrofagi attivati, cellule linfoidi-T e fibroblasti. Esso appartiene ad una famiglia di citochine (chemochine) comprendenti MIP-1P, MIP-2P e IL-8. La caratterizzazione biologica in vitro ha mostrato come il MIP-1α stimola la crescita di CFU-GM indotta dal GM-CSF e M-CSF ed inibisce l’attività formante colonie di cellule CD34+ stimolate con EPO, IL-3 e GM-CSF.
L’insieme di questi risultati indica che la proliferazione o l’inibizione delle cellule emopoieticamente attive è il risultato della complessa interazione fra fattori di regolazione positiva e negativa. In generale questi ultimi agiscono in maniera reversibile, senza specificità di linea differenziativa e la loro azione sembra diretta verso cellule a stadi precoci di maturazione.
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SVILUPPO E MATURAZIONE DI UN LINFOCITA B
La “storia” di un linfocita B si può suddividere in 2 fasi:
- una prima fase antigene-indipendente, in cui si ha la ricombinazione VDJ;
- una seconda fase in cui la cellula è pronta a riconoscere l’antigene.
Il linfocita B è una cellula in grado di non proliferare per anni, ma allo stesso tempo diventa in grado di farlo se opportunamente stimolata.
L’incontro con l’antigene può portare ad un doppio destino:
1. sviluppo di una plasmacellula a breve vita, tipico della risposta immunitaria primaria;
2. ingresso nel CG (Centro Germinativo): struttura altamente specializzata con duplice funzione:
- affinare la specificità antigenica del linfocita, mediante il meccanismo di ipermutazione somatica;
- espandere quantitativamente quei linfociti che montavano un recettore per l’antigene che si è rivelato particolarmente utile per eliminare un ospite indesiderato o comunque capace di riconoscere un antigene presente in circolo.
A questo punto il linfocita può tornare in una fase di quiescenza oppure può dare origine ad una plasmacellula.
In tutte queste fasi la cellula può dare origine ad un tumore che conserva le caratteristiche della fase differenziativa in cui l’evento è avvenuto. Perciò si possono avere tutta una serie di tumori che derivano:
A) da cellule che non hanno ancora avuto l’esperienza del CG, prima di essere passate dentro questa struttura,
B) da cellule che hanno già attraversato il CG ma che lo hanno poi abbandonato,
C) da cellule che sono nel CG (in questo caso la tumorigenesi avviene all’interno di questa struttura).
Tali aspetti sono fondamentali perché ci permettono di misurare con precisione la storia naturale del tumore (non ci si basa su morfologia o espressione proteica, ma si sequenziato i recettori per l’antigene e così si riesce ad avere un’idea del punto in cui è arrivato il linfocita).
Ciascun tipo di linfoma ha delle alterazioni genetiche caratteristiche. Per esempio, i tumori che originano dal CG hanno spesso una capacità proliferativa medio-alta (es. linfoma di Burkitt), ma vanno in apoptosi più facilmente e perciò sono più sensibili alla chemioterapia.
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