E ‘ condizione storicamente nota come il danno ischemico esiti in un danno tessutale a carattere necrotizzante, qualora venga ad essere superata la capacità intrinseca di mantenimento del tessuto in condizioni avverse; più recentemente, in particolar modo negli ultimi 20 anni, si è focalizzata l’attenzione sull’importanza del processo di apoptosi quale componente significativa di perdita cellulare conseguente a eventi di danno da riperfusione susseguenti a evento ischemico (eg. Infarto del miocardio).
Il danno da riperfusione è dovuto in parte alla risposta infiammatoria del tessuto danneggiato. I leucociti introdotti nell’area post-ischemica dal flusso ematico ripristinato liberano numerosi fattori infiammatori quali interleuchine così come radicali liberi in risposta al danno tessutale. Il ripristino del flusso ematico reintroduce ossigeno ed elementi cellulari tali da danneggiare le proteine cellulari, il DNA e la
membrana plasmatica delle cellule del tessuto vascolarizzato; inoltre l’aggressione a carico delle membrane cellulari può condurre al rilascio di ulteriori radicali liberi. Altre specie reattive possono inoltre agire indirettamente come segnali ossido-riduttivi coinvolti nei processi di tipo apoptotico. Inoltre i leucociti possono accumularsi nei piccoli vasi, occluderli e perpetuare un danno di tipo puramente ischemico.
Il danno da riperfusione gioca un ruolo importante nella cascata ischemica cerebrale che è coinvolta nei fenomeni legati allo stroke ed ai traumi cerebrali.
Il sovrapporsi di foci ischemici ripetuti e dei danni da riperfusione parrebbero essere inoltre fattori che contribuiscono alla formazione delle ulcere croniche nonché responsabili della nota difficoltà con la quale esse tendono a guarire (“torpidità” delle piaghe da decubito e delle ulcere caratteristiche del piede diabetico); è da tenere in considerazione inoltre come la pressione continua a carico di tali distretti limiti l’afflusso ematico e causi ischemia cronica con conseguente danno infiammatorio riperfusivo, qualora tale processo venga a ripetersi può danneggiare un tessuto a sufficienza da stabilire una soluzione di continuità (ulcera).
Nell’ischemia prolungata (60 minuti ed oltre) si forma ipoxantina dall’alterazione del metabolismo dell’ATP. L’enzima xantina-deidrogenasi agisce in direzione inversa, lavorando come una xantina-ossidasi in ragione dell’aumentata disponibilità di ossigeno. L’ossidazione fa sì che l’ossigeno molecolare venga convertito in specie reattive come l’anione superossido o il radicale idrossilico.
La xantina-ossidasi inoltre produce acido urico, che può agire sia come pro-ossidante sia come attivatore di altre specie reattive come il perossinitrito. L’eccesso di nitrossido prodotto durante la riperfusione reagisce con l’anione superossido e origina un potente reattivo: il perossinitrito. Questi radicali e le specie reattive dell’ossigeno interagiscono con i lipidi di membrana, proteine e glicosaminoglicani causando ulteriori danni. Inoltre possono attivare processi biologici specifici fungendo da segnali di riduzione.
Il danno da ischemia/riperfusione (I/R) causa una severa limitazione alla sopravvivenza dei tessuti coinvolti nelle procedure di ricostruzione microchirurgica, in particolar modo il muscolo scheletrico parrebbe suscettibile a tale danno. Studi condotti sul muscolo cardiaco hanno mostrato come pregressi episodi di stress cellulare come il precondizionamento ischemico o una moderata ipertermia sono seguiti da un incremento nell’espressione di heat shock protein (HSP) in particolare di quelle stress-correlate (HSP70) ed è stato osservato come spesso vi sia una correlazione tra l’espressione di tali proteine e l’incremento di sopravvivenza del muscolo sottoposto a ischemia/riperfusione. In altri studi effettuati sul muscolo cadiaco l’induzione di HSP70 dopo stress cellulare non si correlava necessariamente con fenomeni di tipo protettivo. Anche per quanto riguarda il muscolo scheletrico una strategia di precondizionamento precedente un evento di ischemia/riperfusione ha mostrato risultati discordanti che indicavano sia protezione da danno ulteriore che assenza di protezione (il bias più importante è però rappresentato dal fatto che studi di questo tipo sono stati condotti con scarsa frequenza sul muscolo scheletrico).
Storicamente (siamo nel 1936) numerosissime osservazioni in ambito chirurgico hanno mostrato che procedure di manipolazione del tessuto condotte prima del trauma operatorio vero e proprio riducevano drasticamente sia la morte sia l’infiammazione tessutale. Studi posteriori evidenziavano che l’elevazione di frammento di epidermide dal proprio letto vascolare (“isola”) condotta 24 ore prima dell’evento ischemico maggiore, portavano ad un’aumentata sopravvivenza a lungo termine del tessuto. Questa elevazione doveva essere condotta nelle 24 ore, procedure effettuate prima o dopo portavano ad una diminuzione dell’effetto protettivo. Studi biochimici sul campione in oggetto hanno mostrato che il tessuto sottoposto a precedente elevazione presentava una sopravvivenza maggiore accompagnata da mantenimento dei livelli energetici cellulari, una diminuzione dei valori di trombossano vascolare ed una diminuzione dell’edema tessutale. Studi successivi hanno implicato HSP70 nel ruolo di protezione nella fase tardiva del processo di ischemia/riperfusione successivo a precondizionamento. HSP70 è una delle tante proteine la cui espressione viene indotta in risposta allo stress cellulare; essa è nota per essere coinvolta nella prevenzione e riparazione dei danni cellulari conseguenti, o meno, a stress cellulare. HSP70 agisce di concerto con altre proteine della famiglia delle “chaperonine”.
Uno degli studi pionieristici che metteva in relazione l'induzione di HSP70 con la protezione da danno ischemico-riperfusorio, utilizzava come stimolo di precondizionamento l'ipertermia (42°C). L'espressione di HSP70 nel muscolo cardiaco di ratto evidenziata a 24 ore dallo stimolo termico era messo in correlazione con una funzionalità muscolare migliore ed una diminuzione del livello di CPK dopo l'IR. Il livello di induzione di HSP70 è stato anche messo in correlazione con gradi di protezione del miocardio dal danno IR.Negli studi sperimentali dedicati all'IR che coinvolgono procedure di trapianto d'organo (in particolare fegato e rene) è stata dimostrata un'aumentata sopravvivenza d'organo qualora l'animale donatore fosse stato preventivamente sottoposto ad una fase di ipertermia. Per quanto riguarda il muscolo scheletrico, l'espressione indotta di HSP70 a seguito di esposizione termica è stata ben correlata ad un mantenimento di corretti livelli di CPK muscolare ed a una riduzione del danno mitocondriale susseguente a ischemia nel muscolo murino (ad esempio uno stress ipertermico indotto nel latissimus dorsi ha visto ridurre del 15% la necrosi muscolare ischemica). Recentemente è stato dimostrato come l'induzione di un precondizionamento (come un'ipertermia moderata) nel muscolo scheletrico murino 24 ore prima dell'evento ischemico pilotato, abbia indotto l'espressione di HSP70 ed aumentato la sopravvivenza a lungo termine del tessuto muscolare di circa 7-8 volte rispetto ai casi controllo. Tuttavia esistono parecchie evidenze che vanno in parte a porre dei limiti alla funzionalità dell'HSP70: dati in vitro rispetto a tessuto muscolare che è stato sottoposto a ipertermia moderata in vivo mostrano che non è possibile spiegare l'effetto protettivo del precondizionamento con la sola espressione dell'HSP70. Colture di miociti maturi di muscolo scheletrico, ottenuti da precursori mioblastici che siano stati precedentemente trasdotti con DNA complementare, che codifichi per HSP70, non sono stati protetti dai mediatori coinvolti nella genesi del danno da IR nonostante l'elevata espressione di HSP70. E' plausibile che esista un processo parallelo o più complesso, rispetto alla semplice espressione di HSP70, che sia coinvolto nei processi protettivi in vivo. L'opportunità di valutare al meglio il peso del ruolo di HSP70 come molecola protettiva nel danno IR su tessuto muscolare richiede l'utilizzo di un modello animale transgenico per l'espressione di HSP70. Per quanto riguarda il muscolo cardiaco gli studi compiuti su questi animali hanno mostrato un'aumentata sopravvivenza del tessuto muscolare dopo un danno IR nel breve periodo mentre la sopravvivenza a lungo termine non è stata analizzata. La letteratura che riguarda l'espressione di HSP70 dopo precondizionamento ischemico o ipertermia moderata ci consegna parecchi lavori che mostrano come all'espressione della chaperonina non si seguito il meccanismo protettivo dal danno IR. Occorre dichiarare che evidentemente non è possibile collegare questa mancata protezione con il fatto che il danno di precondizionamento possa avere causato una lesione irreversibile primaria o secondaria. Altri studi mostrano come l'ipertermia e non il precondizionamento ischemico, sia stata fattore protettivo dal danno IR in tessuto muscolare striato nonostante il fatto che la lesione prodotta dal precondizionamento fosse lieve e reversibile. In altri studi condotti sul muscolo cardiaco un precondizionamento termico non era risultato protettivo nei confronti del danno IR se il danno ischemico era applicato quando il livello di HSP70 era allo zenit (4-12 ore dopo lo stress termico), tuttavia se lo stesso stimolo ischemico veniva applicato quando i livelli di HSP70 non erano così alti (24 ore dopo lo stress termico) il meccanismo protettivo era efficace (un osservazione di questo tipo, peraltro, è stata riportata da più autori). Considerando assieme tutti questi dati viene ad essere sostenuta l'idea che i meccanismi di protezione dal danno IR attivati da processi di precondizionamento ischemico o termico, richiedono l'attivazione o il coinvolgimento non solo di HSP70 ma di altri fatori che possono lavorare in sinergia o in maniera addirittura indipendente (modello "a cascata" vs modello "a rete"). In realtà esistono effettivamente evidenze del coinvolgimento di altre proteine: manganese-superossido-dismutasi, catalasi, eme-ossigenasi, proteina cristallina di tipo B, glutaione perossidasi, proto-oncogeni, c-fos e c-myc e parecchie altre proteine della famiglia delle “heat shock protein”. Alcuni studi evidenziano una relazione tra effetto protettivo dello stress da calore nel muscolo cardiaco e l'induzione di enzimi quali la catalasi o la manganese-superossido-dismutasi. L'inibizione di alcune di queste proteine previene l'effetto protettivo indotto dall'espressione di HSP70 nei confronti del danno IR.
Risulta a questo punto evidente che l'HSP70 gioca un ruolo cruciale ma non esclusivo nel meccanismo di protezione: tuttavia gli studi mostrano che esistono altre proteine che possono collaborare con HSP70 o addirittura relegare HSP70 a ruolo di cofattore. Gli studi dei modelli transgenici possono aiutare a chiarire meglio questo quadro così complesso, evidenziando nel contempo quelli che possono diventare interessanti stimoli di discussione.