Milano, 3 set. (Adnkronos Salute) - Uno studio italiano svela il segreto delle epatiti croniche B e C: un difetto alle cellule 'natural killer' del sistema immunitario, i 'sicari' che nel nostro organismo hanno il compito di neutralizzare i virus. La ricerca - pubblicata su 'Gastroenterology', organo ufficiale della American Gastroenterological Association - è coordinata da Mario Mondelli della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia. La scoperta apre la strada a nuove terapie, assicurano gli scienziati."Lo studio del nostro gruppo di ricerca - spiega in una nota Modelli, del Laboratorio sperimentale di ricerca interno al Dipartimento di malattie infettive - si è concentrato sulle cellule dell'immunità innata denominate 'natural killer' (uccisori naturali)". Sono battezzate così "perché intervengono rapidamente per contrastare l'invasione dei virus patogeni con cui veniamo a contatto tutti i giorni. Abbiamo dimostrato che esiste un difetto funzionale di queste cellule nelle epatiti virali croniche: presentano una normale o addirittura una maggiore capacità di 'uccidere' le cellule infette, ma sono incapaci di produrre una sufficiente quantità di interferone gamma". Pertanto i virus dell'epatite B e C persistono "indisturbati nel fegato dei pazienti che non sono in grado di eliminarli", precisa. I virus - ricordano infatti gli esperti - vengono contrastati molto più efficacemente attraverso sostanze solubili come l'interferone gamma, che ha la possibilità di agire su un ampio numero di cellule del fegato infette. L'attività di 'killing' o uccisione, invece, è un rapporto diretto fra cellula natural killer e cellula bersaglio. Permette dunque di eliminare solo una cellula infetta alla volta: un processo molto più lento e inefficiente. La scoperta di Mondelli e colleghi "è estremamente importante e apre nuovi scenari terapeutici. La terapia antivirale delle epatiti croniche potrebbe infatti giovarsi del supplemento di immunostimolanti come l'interferone gamma e altre citochine 'protettive', allo scopo di correggere il difetto identificato e di eliminare così stabilmente i virus dal fegato", concludono gli autori. Hanno collaborato alla ricerca Barbara Oliviero e Stefania Varchetta.