Hypertension
Diseases

Author: Gianpiero Pescarmona
Date: 18/02/2009

Description

DC isoketal-modified proteins activate T cells and promote hypertension, 2014

  • Oxidative damage and inflammation are both implicated in the genesis of hypertension; however, the mechanisms by which these stimuli promote hypertension are not fully understood. Here, we have described a pathway in which hypertensive stimuli promote dendritic cell (DC) activation of T cells, ultimately leading to hypertension. Using multiple murine models of hypertension, we determined that proteins oxidatively modified by highly reactive γ-ketoaldehydes (isoketals) are formed in hypertension and accumulate in DCs. Isoketal accumulation was associated with DC production of IL-6, IL-1β, and IL-23 and an increase in costimulatory proteins CD80 and CD86. These activated DCs promoted T cell, particularly CD8+ T cell, proliferation; production of IFN-γ and IL-17A; and hypertension. Moreover, isoketal scavengers prevented these hypertension-associated events. Plasma F2-isoprostanes, which are formed in concert with isoketals, were found to be elevated in humans with treated hypertension and were markedly elevated in patients with resistant hypertension. Isoketal-modified proteins were also markedly elevated in circulating monocytes and DCs from humans with hypertension. Our data reveal that hypertension activates DCs, in large part by promoting the formation of isoketals, and suggest that reducing isoketals has potential as a treatment strategy for this disease.

The Role of Glutathione in Protecting against the Severe Inflammatory Response Triggered by COVID-19.
Silvagno F, Vernone A, Pescarmona GP.
Antioxidants (Basel). 2020 Jul 16;9(7):624. doi: 10.3390/antiox9070624.

Hypertension review

Hypertension PUFA

Renin dependent H

No major metabolic alterations accompany the hypotensive effect of active vitamin D. 1991

It is therefore concluded that no major metabolic alterations in glucose or lipid metabolism or serum urate accompany the hypotensive effect of vitamin D.

Application of direct renin inhibition to chronic kidney disease. 2010

Many other factors are known to modify renin release and/or expression including vitamin D, uric acid, TGFβ, and TNFα.

Salt dependent H

from Sodium Ions, Calcium Ions, Arterial Contractility and Ouabain Hypertension

Mineralcorticoid dependent H

Varianti geni ANP, BNP riducono pressione
Comuni varianti nei geni che producono ANP (Atrial Natriuretic Peptide) e BNP (Brain Natriuretic Peptide)sono associate ad una riduzione della pressione. Si tratta della prima volta in cui si dimostra chiaramente che il sistema dei peptidi natriuretici sia coinvolto nella regolazione della pressione. Anche se l'effetto che queste varianti hanno sulla pressione è relativamente modesto, probabilmente esistono altri elementi che influenzano i peptidi natriuretici con effetti molto maggiori. Inoltre, anche se gli effetti riscontrati possono sembrare minimi, anche una riduzione di un solo mmHg nella pressione sistolica è associata ad una diminuzione dell'otto percento nel rischio di mortalità da ictus o cardiopatia ischemica: la mera presenza delle varianti geniche identificate infatti è sufficiente ad ottenere una riduzione del 15 percento nel rischio di ipertensione. Sono in fase di sviluppo attivo agenti terapeutici che attivino cronicamente il sistema dei peptidi natriuretici: questi agenti potrebbero rivelarsi utili nel trattamento dell'ipertensione. (Nat Genet online 2009, pubblicato il 16/2)

Regulation of cerebral blood flow

La pressione in corso di terapia antidepressiva

Contrariamente alla corrente di pensiero prevalente, non è la depressione ad aumentare la pressione, ma piuttosto i farmaci utilizzati per trattarla: ciò suggerisce che i pazienti che assumono antidepressivi dovrebbero essere monitorati più strettamente. La depressione di per sé è associata invece all'ipotensione, ma il rischio ipertensivo è legato a diversi farmaci di uso comune, ed in particolare agli antidepressivi triciclici. La sorveglianza medica dovrebbe riguardare soprattutto i soggetti già ipertesi, quelli con malattie cardiovascolari o i portatori di altri fattori di rischio per l'ipertensione: in questi casi, l'alternativa allo stretto monitoraggio sarebbe la variazione della terapia con l'introduzione di altri medicinali. (Hypertension online 2009, pubblicato il 23/2)

Curare i sani: antipertensivi per tutti

Dopo le statine per coloro che hanno livelli di colesterolo entro i limiti, ecco gli antipertensivi per chi ha la pressione normale. La controversa idea di usare i farmaci come strumento di prevenzione primaria ha fatto in questi giorni un grosso balzo in avanti, con la pubblicazione sulle pagine del British Medical Journal di una metanalisi condotta da Malcolm Law e dai suoi colleghi dell’Wolfson Institute of Preventive Medicine a Barts e della London School of Medicine. Gli studiosi, dopo aver esaminato quasi 150 trial condotti tra il 1966 e il 2007, per un totale di 464.000 persone, sono giunti alla conclusione che ridurre la pressione comunque paga in termini di rischio cardiovascolare, non solo indipendentemente dal farmaco usato, come già si sapeva, ma anche dalla presenza di una preesistente patologia cardiovascolare e dai livelli pressori di partenza.
«Utilizzare uno qualunque degli antipertensivi delle principali classi in commercio alle dosi standard riduce il rischio di attacchi cardiaci fatali e non fatali di circa un quarto e di ictus di circa un terzo» spiega Law. «Anche la probabilità di andare incontro a scompenso cardiaco si riduce di circa un quarto».
Se in generale non si sono registrate differenze tra le diverse classi di farmaci, purché abbassassero la pressione, sono emersi però casi particolari in cui a determinati prodotti si associava un vantaggio supplementare: è il caso dei beta bloccanti, per coloro che già hanno mostrato i segni di una cardiopatia ischemica, e dei calcio antagonisti, leggermente più efficaci nella prevenzione dell’ictus e meno in quella dello scompenso.
«Per quanto riguarda i beta bloccanti» precisa l’esperto britannico, «il vantaggio addizionale è limitato agli anni immediatamente successivi a un infarto, in cui questi farmaci riducono il rischio di oltre il 30 per cento contro il 13 per cento di calo ottenuto nei cardiopatici senza un infarto recente».
Escludendo questi pazienti particolari, i ricercatori hanno calcolato che per ogni 10 mmHg di sistolica e ogni 5 mmHg di diastolica in meno, il rischio di eventi ischemici a livello cardiaco scende del 22 per cento e quello di ictus addirittura di più del 40 per cento. «Questo almeno fino a 110 di massima e 70 di minima» puntualizza Law, che aggiunge: «Se poi si utilizzano tre farmaci diversi in combinazione, a metà della dose prevista per ognuno, il vantaggio può aumentare ancora, con una riduzione del rischio di cardiopatia ischemica del 46 per cento e di ictus del 62 per cento».
«Questa conclusione però è stata dedotta sommando gli effetti dei diversi farmaci» obiettano in un editoriale di accompagnamento Richard J McManus e Jonathan Mant, rispettivamente dell’Università di Birmingham e di Cambridge. «Non esistono trial che dimostrino la superiorità di questa associazione né che confermino la supposizione che in questo modo si riducano gli effetti collaterali dei prodotti utilizzati».
Ma gli autori sono convinti che i loro risultati siano più che sufficienti per consigliare a tutti, oltre i 55-60 anni, indipendentemente dalle loro condizioni di forma o di salute, di prendere comunque una, o meglio tre, pillole per la pressione, senza neppure misurarla prima.
di Roberta Villa
Fonte: Brit Med J 2009; 338: b1665

ACTH (and glucocorticoid) induced hypertension

Adrenocorticotropic hormone (ACTH)-induced hypertension in the rat is characterized by nitric oxide deficiency. Tetrahydrobiopterin (BH4) is an essential cofactor for the enzyme nitric oxide synthase and glucocorticoids have been reported to reduce cytokine-induced BH4 production. Accordingly we hypothesized that ACTH-induced hypertension would be reversed by BH4 supplementation.

Role of tetrahydrobiopterin in adrenocorticotropic hormone-induced hypertension in the rat. 2004

Statins reverts ACTH (and glucocorticoid) induced hypertension

Atorvastatin prevented and partially reversed adrenocorticotropic hormone-induced hypertension in the rat. 2006

Ipertensione Arteriosa (Linea Guida Regione Toscana) ottobre 2009

L' Intento degli Autori e' Stato Quello di Elaborare una Linea Guida Rivolta a Tutte
le Figure Coinvolte nella Gestione dell'Ipertensione, poiche' un Corretto Management
di tale Fattore di Rischio Offre Importanti Opportunita' per Implementare Interventi su
Stili di Vita Rivolti a Controllare Anche Altri Fattori di Rischio Cardiovascolare.
L' Obiettivo che si vuol Raggiungere con la Diffusione del Documento e' Quello di
Facilitare la Diagnosi, la Gestione e il Controllo della Pressione Arteriosa da Parte di
Tutte le Figure Interessate, Attraverso le Raccomandazioni Riportate in Specifiche
Sezioni. A tal Fine, Oltre a Utilizzare come Base le Linee Guida Europee dell' ESH-
ESC, gl i Autori hanno Revisionato la Letteratura piu' Recente e di Riferimento
Internazionale sull'Argomento Ipertensione Applicando i Criteri della Evidence-Based
Medicine. Il Gruppo di Lavoro del Presente Documento ha, Infine, Posto l' Attenzione
su Alcuni Punti Critici, Ancora Oggi Oggetto di Dibattito Clinico-Sanitario, Quali :
- Informazioni sui Farmaci Generici e Importanza di una Vigilanza Attiva sulla Loro
Efficacia
- Ruolo dei Nuovi Betabloccanti e dei Diuretici nel Trattamento dell'Ipertensione
- L' Ipertensione nell'Anziano (Il Target Pressorio Raggiungibile)
- L' Ipertensione nell'Eta' Pediatrica
- Difficolta' di Identificazione del Danno Renale nella Pratica Clinica
- Gestione del Paziente da Parte del Medico di Base in Corso di Crisi Ipertensiva

True Lies??

Un iperteso su 4 non sa di esserlo, si cura bene solo meta' pazienti

Roma, 11 mag. (Adnkronos Salute) - Un iperteso su quattro non sa di esserlo e di quelli che ne sono a conoscenza solo la metà si cura. Non solo. Anche tra chi fa la terapia, solo la metà la segue in modo corretto. In sintesi, dunque, solo un iperteso su cinque è efficacemente protetto da rischi di gravi malattie cardiovascolari come ictus e infarto e da danni renali. A ricordare i dati la Società italiana dell'ipertensione arteriosa (Siia) che aderisce alla VI Giornata mondiale contro l'ipertensione arteriosa, in calendario lunedì prossimo, promossa in tutto il mondo dalla World Hypertension League.Il tema centrale di quest'anno è la lotta all'obesità, che all'ipertensione è strettamente legata e che riguarda ampie fasce di popolazione, con un numero sempre più elevato di bambini. Il 17 maggio la Siia promuoverà una serie di iniziative sul territorio, per sensibilizzare i cittadini su questo disturbo spesso sottovalutato e di cui si percepisce poco la pericolosità. In circa 80 capoluoghi e in altre località, con il supporto della Croce Rossa Italiana, ci saranno postazioni dove effettuare un controllo gratuito della pressione arteriosa e ritirare materiale informativo con indicazioni sugli stile di vita adottare per prevenire e curare l'ipertensione e le patologie correlate. Anche diversi ospedali e le farmacie italiane aderiranno all'iniziativa.A soffrire di ipertensione nel mondo, secondo le stime, sarebbero un miliardo e mezzo di persone. Si calcola inoltre che il disturbo sia responsabile del 47% di tutte le forme di cardiopatia ischemica e del 54% degli ictus cerebrali, con 7 milioni e mezzo di morti premature (circa il 13% del totale globale), e di 92 milioni di anni di vita attiva perduti (circa il 6% del totale globale). Anche i costi economici dell'insufficiente controllo dell'ipertensione sono impressionanti, per un valore a livello mondiale di 370 miliardi di dollari all'anno pari al 10% della spesa globale per la salute, mentre i costi indiretti sono stati valutati in 3.600 miliardi di dollari all'anno. In Italia gli ipertesi sono almeno 15 milioni, con una ricaduta in termini di mortalità di circa 240 mila decessi pari al 40% di tutte le cause di morte.

Ipertesi Usa: dopo vent'anni controllato il 50,1%
La prevalenza dell'ipertensione negli Stati Uniti è diminuita dal 1988 a oggi, a testimonianza di una migliore consapevolezza nei pazienti, della disponibilità di trattamenti più efficaci e di un controllo dei valori pressori sempre più completo sulla popolazione, fino a coinvolgere, nel 2007-2008, il 50,1% di tutti i pazienti, obiettivo prefissato da tempo. È la "morale" che scaturisce dall'analisi svolta da Brent M. Egan e collaboratori della Medical university of South Carolina (Charleston), sui dati di due indagini Nhanes (the National health and nutrition examination survey) relative ai periodi 1988-1994 e 1999-2008, suddivise in cinque blocchi biennali, e riferite a oltre 42mila adulti di età >18 anni. L'ipertensione è stata definita come la presenza di una pressione sistolica e diastolica di almeno 140 e 90 mmHg, rispettivamente; valori inferiori identificavano una condizione di controllo pressorio. I tassi dell'ipertensione sono aumentati da 23,9% nel periodo 1998-1994 a 28,5% nel biennio 1999-2000, ma non si sono modificati tra il 1999-2000 e il 2007-2008 (29%). Il controllo dell'ipertensione è aumentato dal 27,3% nel 1988-1994 a 50,1% nel 2007-2008, mentre la pressione arteriosa tra i pazienti ipertesi è diminuita da 143,0/80,4 a 135,2/74,1 mmHg. Il controllo pressorio è aumentato in modo significativamente maggiore in percentuali assolute tra il 1999-2000 e il 2007-2008 in confronto al periodo compreso tra il 1988-1994 e il 1999-2000 (18,6% vs 4,1%). Nel complesso, un miglior controllo è stato il riflesso di una maggiore consapevolezza (69,1% vs 80,7%), di un migliore trattamento (54,0% vs. 72,5%) e una superiore proporzione di pazienti in terapia con ipertensione controllata (50,6% vs 69,1%). Il controllo dell'ipertensione è dunque molto migliorato, specie dopo il 1999-2000, indipendentemente da età, etnia e sesso, ma è stato minore nei soggetti di età compresa tra 18 e 39 anni e dai 60 anni in su.

JAMA, 2010; 303(20):2043-50

Deficit androgeni e disfunzione erettile
I deficit di androgeni sono piuttosto comuni negli uomini con disfunzione erettile, e sono associati all'età ed all'ipercolesterolemia fra gli altri fattori. E' sempre più chiaro che le disfunzioni sessuali possono essere un sintomo di malattie di base nel sesso maschile, come ad esempio malattie cardiovascolari o diabete. E' stato rilevato un lieve aumento dell'ipogonadismo fra i 45 ed i 50 anni, al di là dei quali si osserva un plateau fino agli 80 anni. I livelli di PSA e creatinina non influenzano il testosterone, ma l'età, il diabete incontrollato, elevati livelli di colesterolo totale e l'anemia sono fattori correlati a livelli di testosterone significativamente ridotti. Anche se viviamo in un'epoca in cui esistono terapie mediche efficaci per via orale per la disfunzione erettile, gli uomini che la accusano dovrebbero sottoporsi ad un controllo completo che comprenda anche esami ormonali. (Urology 2008; 71: 693-7)

Altitude and relative hypoxia

REf

Hypertension phototherapy

GUIDELINE 2017 Pharmacologic Treatment of Hypertension in Adults Aged 60 Years or Older to Higher Versus Lower Blood Pressure Targets: A Clinical Practice Guideline From the American College of Physicians and the American Academy of Family Physicians.

ACP and AAFP recommend that clinicians initiate treatment in adults aged 60 years or older with systolic blood pressure persistently at or above 150 mm Hg to achieve a target systolic blood pressure of less than 150 mm Hg to reduce the risk for mortality, stroke, and cardiac events. (Grade: strong recommendation, high-quality evidence).

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Ipertensione_arteriosa_2009.pdfgp09/11/2009
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