Introduzione.
La definizione di degenerazione retinica racchiude una grande varietà di patologie accomunate dalla progressiva perdita della vista a causa di un danno a carico delle cellule fotosensibili. Un altro punto di contatto tra le diverse forme di degenerazione retinica consiste nell’assenza di una cura definitiva e risolutiva.
Nel corso degli anni sono stati condotti numerosi studi per verificare la capacità di composti assumibili tramite l’alimentazione – vitamina A, luteina e acidi grassi ω-3 – di apportare un miglioramento sensibile al decorso delle patologie di degenerazione retinica, con esiti spesso incoraggianti. In assenza di soluzioni risolutive, è evidente come la terapia nutrizionale costituisca un passaggio rilevante nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti, dal momento che permette di allungare i tempi di decorso della malattia e dunque di ritardare l’insorgenza dei sintomi caratteristici delle varie fasi.
Vitamina A.
I primi trial clinici (A randomized trial of vitamin A and vitamin E supplementation for retinitis pigmentosa, 1993) mirati a verificare l’utilità della somministrazione di vitamina A nella terapia nutrizionale destinata ai soggetti affetti da degenerazione retinica sono stati conclusi nell’anno 1993. Il punto di partenza consisteva nel confronto tra due somministrazioni differenti, una di vitamina A ed una di vitamina E. I 601 pazienti di età compresa tra i 18 e i 49 anni sono stati divisi in quattro gruppi, in base ai livelli di vitamina A e vitamina E assunti: il primo gruppo ha ricevuto elevati dosaggi di vitamina A, mentre il secondo è stato trattato con abbondante vitamina E; il terzo gruppo ha ricevuto quantità notevoli di entrambe le vitamine, mentre al quarto sono state fornite soltanto tracce. I risultati sono stati valutati mediante elettroretinogramma: nei due gruppi cui sono state somministrate alte dosi di vitamina A è stato possibile apprezzare un rallentamento significativo nel declino della funzionalità retinica. Questi esiti dimostrano, con una significatività del 99%, che l’assunzione di vitamina A determina un effetto benefico sul decorso delle patologie di degenerazione retinica.
Occorre tenere presente che l’assunzione di quantità eccessive di vitamina A va considerata tossica nel lungo periodo; pertanto la terapia nutrizionale, basata sulla somministrazione di un dosaggio superiore alle necessità biologiche dell’organismo, deve sottostare ad un limite di sicurezza, al di sotto del quale non vi sia alcun rischio per la salute del paziente.
Il trial (Safety of <7500 RE (<25000 IU) vitamin A daily in adults with retinitis pigmentosa, 1999) che ha stabilito in modo certo un livello limite giornaliero di vitamina A entro cui il paziente non è esposto ad alcun danno è stato concluso nell’anno 1999: la premessa è costituita dal fatto che il fabbisogno giornaliero di vitamina A è stimato attorno a 800 equivalenti di retinolo RE/d, ovvero 2667 IU/d per le donne adulte, mentre è stimato attorno a 1000 RE/d (3.300 IU/d) per gli uomini adulti. I pazienti che hanno preso parte alla sperimentazione sono stati divisi in due gruppi: il gruppo A ha ricevuto un dosaggio di 4500 RE/d (15.000 IU/d) di vitamina A, mentre il gruppo di controllo ha assunto soltanto tracce. I risultati hanno evidenziato un aumento dei livelli di retinolo, senza che questi superassero i limiti di normalità; al tempo stesso non è stata riscontrata alcuna evidenza di tossicità epatica attribuibile all’assunzione aumentata di vitamina A.
La vitamina A, o retinolo, è una vitamina liposolubile coinvolta in numerose funzioni biologiche, tra cui la visione. Il meccanismo attraverso cui questo composto partecipa al processo visivo prevede il passaggio attraverso più fasi. Il retinolo subisce la catalisi dell’enzima alcol deidrogenasi e viene trasformato in un’aldeide, il retinale; questo, nella forma 11-cis, viene unito ad una proteina retinica, l’opsina, tramite un legame covalente con il residuo di Lys-296. Il composto così formato, detto rodopsina, modifica la sua conformazione in seguito all’esposizione ad un fotone: la forma 11-cis subisce un’isomerizzazione che porta alla forma trans, così si ha l’attivazione di una cascata molecolare mediata da una proteina G, che porta alla generazione di impulsi elettrici destinati al SNC.
Trasporto nel flusso sanguigno.
La vitamina A assunta con la dieta viene immagazzinata nel tessuto epatico e in misura minore nel tessuto adiposo sotto forma di retinil estere. Il primo passo verso la mobilizzazione consiste nella conversione in retinolo: il 90% circa delle molecole di questo composto viaggia nel plasma tramite il legame con una proteina di trasporto, la retinol binding protein (RBP); la quasi totalità delle molecole di RBP è associata, in rapporto stechiometrico 1:1, alla TTR-tiroxina, un’altra proteina di trasporto. Sia RBP sia TTR sono coinvolti nella regolazione della concentrazione ematica di retinolo: la rigidità dei meccanismi regolatori fa in modo che la presenza di retinolo nel flusso sanguigno si mantenga sempre pressoché costante.
Considerato che la concentrazione ematica di retinolo non varia, si può comprendere la connessione tra la velocità del flusso sanguigno e l’efficacia del retinolo nell’ambito dell’organismo: un flusso troppo lento può infatti vanificare i benefici dovuti all’aumentata assunzione di vitamina A, non permettendo al retinolo di pervenire al tessuto retinico in concentrazioni aumentate e dunque di esplicare i suoi effetti benefici.
Con il passare degli anni la somministrazione di vitamina A è diventata una pratica consolidata nei confronti dei pazienti affetti da degenerazione retinica; parallelamente sono stati condotti studi di sperimentazione volti al perfezionamento della terapia nutrizionale, in modo da individuare nuovi composti capaci di migliorare ulteriormente il decorso della patologia.
Acido folico.
Sperimentalmente è stata individuata una correlazione tra l’insorgenza di patologie di degenerazione retinica e la concentrazione di omocisteina nel sangue. L’omocisteina deriva dal trasportatore di gruppi metilici S-adenosilmetionina: si tratta infatti della forma demetilata dell’amminoacido metionina.
Nell’anno 2009 sono stati pubblicati i risultati di un trial (Folic Acid, Pyridoxine, and Cyanocobalamin Combination Treatment and Age-Related Macular Degeneration in Women, 2009) che si proponeva di valutare se l’assunzione di acido folico, piridossina cloridrato (vitamina B6) e cianocobalammina (vitamina B12) fosse in grado di diminuire l’incidenza delle patologie di degenerazione retinica; i risultati hanno evidenziato per i soggetti del trial una riduzione significativa del rischio di sviluppare una patologia retinica. In particolare, l’assunzione di acido folico è direttamente coinvolta nella diminuzione dei livelli ematici di omocisteina: infatti il composto costituisce il precursore del tetraidrofolato, che agisce come trasportatore di gruppi metilici per ripristinare S-adenosilmetionina a partire dall’omocisteina. La formazione del metil-tetraidrofolato è dovuta all’azione dell’enzima metilentetraidrofolato reduttasi; una mutazione a carico di questo enzima può determinare un rallentamento della reazione e dunque esplicare i suoi effetti sulla trasformazione di omocisteina in metionina, contribuendo all’aumento dei livelli ematici del composto omocisteina.
Colina.
Un altro composto che può avere un effetto benefico nei confronti del tessuto retinico è la colina: la somministrazione di livelli elevati di questo composto porta alla formazione dell’acetilcolina (ACh), un neurotrasmettitore che agisce stimolando la vasodilatazione; in questo modo si avrà un miglioramento del trasporto ematico di ossigeno ai tessuti, con particolare riferimento al tessuto retinico.
Un peggioramento nel flusso sanguigno e dunque nell’ossigenazione della retina può essere dovuto all’invecchiamento: infatti con il passare degli anni le pareti arteriose vanno incontro ad un progressivo inspessimento e ciò determina una minore efficienza del sistema vascolare che irrora la retina; per questo motivo aumenta il rischio di trombosi e più in generale si va incontro a un calo della vista.
Ipotiroidismo: coenzima Q, iodio e selenio.
In questo quadro di diminuzione dell’apporto ematico di ossigeno si configura la condizione di ipotiroidismo, anch’essa correlata con l’avanzamento dell’età: la produzione ridotta di T3 determina un rallentamento del metabolismo, che coinvolge anche il meccanismo della fosforilazione ossidativa. I processi della catena respiratoria richiedono la presenza di notevoli quantità di coenzima Q: una carenza di questo composto può essere dovuta all’ipercolesterolemia, in quanto la produzione dell’ubichinone si basa sul farnesil-pirofosfato, un substrato conteso dalla via di sintesi del colesterolo. Bassi livelli di coenzima Q determinano un rallentamento del metabolismo: a livello retinico, sono stati condotti trial (Retinal coenzyme Q in the bovine eye, 2011) che hanno dimostrato la correlazione tra bassi livelli di ubichinone e il peggioramento delle patologie di degenerazione retinica.
Alla luce degli effetti dell’ipotiroidismo sul metabolismo e dunque sul tessuto retinico, è evidente l’importanza dell’assunzione di iodio, in quanto componente strutturale degli ormoni tiroidei.
Un altro elemento rilevante per la regolazione della funzionalità tiroidea è il selenio: questo, sotto forma di selenocisteina, fa parte della desiodasi, un enzima fondamentale per la conversione di T4 nella forma attiva T3. Un’altra funzione del selenio riguarda l’enzima glutatione perossidasi, la cui azione antiossidante riduce l’impatto dei danni da stress ossidativo a livello tissutale; si tratta infatti di un processo particolarmente importante per la tiroide, un organo esposto ai danni del ROS H2O2, prodotto come cofattore della sintesi degli ormoni tiroidei.
Luteina.
Nell’anno 2010 sono stati pubblicati i risultati di un trial clinico (Clinical trial of lutein in patients with retinitis pigmentosa receiving vitamin A, 2010) condotto in doppio cieco su un campione di 225 pazienti non fumatori di età compresa tra i 18 e i 60 anni. I soggetti sono stati divisi in due gruppi, uno destinato ad assumere 12 mg/d di luteina e l’altro una compressa di controllo al giorno, considerando come punto di partenza per entrambi i gruppi la somministrazione di 15.000 IU/d di vitamina A – palmitato. I risultati dello studio mostrano che la supplementazione di luteina ha rallentato mediamente la perdita del campo visivo medio-periferico tra gli adulti non fumatori che assumevano vitamina A; non sono stati osservati effetti tossici significativi della supplementazione di luteina.
Omega-3.
Un’ulteriore via da seguire è stata identificata nell’assunzione per via alimentare degli acidi grassi ω-3 a catena lunga; i risultati del trial (ω-3 intake and visual acuity in patients with retinitis pigmentosa receiving vitamin A, 2012) condotto in relazione alla perdita di acuità visiva sono stati pubblicati nell’anno 2012. Il campione preso in esame è costituito da soggetti cui viene somministrata una quantità giornaliera di 15.000 IU di vitamina A; le proporzioni di declino dell’acuità visiva sono state confrontate tra i pazienti con alta (≥ 0,20 g/d) e bassa (< 0,20 g/d) assunzione di ω-3. Gli esiti hanno mostrato una correlazione significativa tra l’assunzione di livelli elevati di ω-3 e il rallentamento del declino dell’acuità visiva.
In conclusione, le ricerche e i trial clinici svolti a partire dall’inizio degli anni ‘90 hanno portato allo sviluppo di una terapia nutrizionale che, per quanto non risolutiva, può comunque rivelarsi molto utile, dal momento che determina un miglioramento della prognosi delle patologie degenerative retiniche, con un evidente riflesso nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti.
Marco Cannizzaro, Giulia Brach del Prever