DEFINIZIONE
Le crioglobuline sono un gruppo di proteine sieriche, prevalentemente costituite da immunoglobuline, caratterizzate dalla proprietà di precipitare o di gelificare reversibilmente a temperatura inferiore a 37°C. Il fenomeno è stato descritto per la prima volta nel 1933 da Wintrobe e Buell in un caso di mieloma multiplo. Nel 1947 Lerner e Watson sono stati i primi a definire le proteine crioprecipitabili con il termine di "crioglobuline" e a descriverle in associazione con la porpora e la glomerulonefrite. Studi successivi hanno documentato la presenza delle crioglobuline in un'ampia varietà di malattie infettive, infiammatorie e neoplastiche, dimostrando la non rarità del fenomeno [Cryoglobulins, 2008], [Cryoglobulinaemia: clinical and laboratori perspectives, 2008].
In quest'ultimo decennio l'interesse per le crioglobuline è notevolmente aumentato dopo la scoperta del virus dell'epatite C (HCV) e la dimostrazione della sua frequente associazione con le crioglobuline. La possibilità che il virus dell’epatite C sia coinvolto nello sviluppo delle crioglobulinemie ha trasformato lo scenario della ricerca e aperto nuove prospettive eziopatogenetiche e terapeutiche [Cryoglobulin: recherche, typage et quantification. Étude chez le sujet sain et chez des patients atteints d’une hépatite C chronique, 2005].
CLASSIFICAZIONE
Le crioglobuline sono classificate in tre sottogruppi [Mixed cryoglobulinemia, 2008] sulla base delle loro caratteristiche strutturali e immunochimiche:
- Crioglobuline di tipo I o "singole", costituite da una sola immunoglobulina monoclonale (di solito IgM o IgG) che mostra raramente attività di fattore reumatoide (FR), cioè attività anticorpale nei confronti di altre immunoglobuline;
- Crioglobuline di tipo II o "miste" (CM), costituite da due diverse immunoglobuline: una policlonale (solitamente IgG) e l'altra monoclonale (generalmente IgM) con attività di fattore reumatoide nelle crioglobuline miste;
- Crioglobuline di tipo III, costituite da due diverse immunoglobuline entrambe policlonali, di cui una (solitamente IgM) con attività di fattore reumatoide.
Le crioglobulinemie di tipo I si ritrovano per lo più nel mieloma multiplo, nella macroglobulinemia di Waldenström e in affezioni mielodisplastiche/linfoproliferative. Le crioglobulinemie di tipo II e III, che costituiscono più dell'80% di tutte le crioglobulinemie, possono comparire nel corso di malattie infettive o autoimmuni oppure rappresentare un'entità distinta, non associata a fattori causali evidenti, denominata in passato "crioglobulinemia mista essenziale" (CME). Le crioglobulinemie di tipo II sono prevalentemente osservate nella crioglobulinemia mista essenziale, tuttavia questo termine non sembra più appropriato dopo il riscontro del virus dell'epatite C in oltre il 90% dei pazienti con crioglobulinemia mista essenziale.
IL FENOMENO DELLA CRIOPRECIPITAZIONE
I meccanismi della crioprecipitazione non sono ancora chiaramente definiti. Nelle crioglobuline di tipo I la crioprecipitazione sembra essere una caratteristica intrinseca delle immunoglobuline monoclonali, strettamente legata all'integrità della loro struttura quaternaria, poiché frammenti Fc e Fab separati perdono solitamente la precipitabilità alle basse temperature. Il processo di crioprecipitazione potrebbe essere innescato da modificazioni della composizione aminoacidica o del contenuto in carboidrati delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline. Ne deriverebbe un complessivo aumento della idrofobicità delle molecole con perdita della loro solubilità.
Nelle crioglobulinemie di tipo II e III la crioprecipitazione appare legata più all'interazione fra immunoglobuline che alle caratteristiche delle singole componenti immunoglobuliniche. Nelle crioglobulinemie miste IgG-IgM è l'IgM anti-IgG la specifica componente che determina la crioprecipitazione. Nessuna delle due globuline può crioprecipitare isolatamente, tuttavia la componente IgM si comporta come una crioglobulina incompleta, essendo in grado di crioprecipitare IgG di soggetti normali, mentre non si osserva crioprecipitazione quando la componente IgG è posta in reazione con una IgM normale.
Un possibile ruolo crioprecipitante è stato attribuito alla fibronectina, una proteina della fase acuta della flogosi, che è frequentemente ritrovata nelle crioglobulinemie, specialmente in quelle associate a processi flogistici autoimmuni, nelle quali le crioglobuline sono per lo più di tipo III. Sembra, tuttavia, che tale glicoproteina, pur potendo svolgere un'azione favorente, non sia necessaria alla crioprecipitazione.
Oltre all'ipotesi che la crioprecipitazione sia legata all'integrità della struttura quaternaria di tali proteine,in vitro è stata anche investigata l’influenza di differenti ioni sull’aggregazione temperatura-dipendente delle crioglobuline. E’ stato riscontrato che la concentrazione di Cl- presente in soluzione è la principale variabile che controlla la dimensione e la percentuale di aggregati, sia a basse temperature sia a 37° C. Si suppone che il Cl- sia il fattore maggiormente coinvolto nella patogenesi degli eventi nelle regioni viscerali, quali il rene, dove non avvengono variazioni di temperatura ma dove la concentrazione locale di Cl- può cambiare per mantenere l’omeostasi degli elettroliti nel sangue e l’equilibrio acido-base.
A questo proposito, l’identificazione di uno specifico dominio strutturale responsabile del legame del Cl- potrebbe essere uno nuovo bersaglio per farmaci studiati selettivamente per interferire con l’aggregazione delle crioglobuline [Cl- regulates cryoglobulin structure: a new hypothesis for the physiopathological mechanism of temperature non-dependent cryoprecipitation, 2004].
Un altro aspetto preso in considerazione, rispetto alla precipitazione di immunoglobuline di isotipo IgG3, è la possibile implicazione di aminoacidi carichi positivamente presenti nelle regioni variabili di crioglobuline IgG3. E’ stato studiato il ruolo dei residui sialici terminali nelle catene oligosaccaridiche di crioglobuline IgG3. L’analisi comparativa della struttura oligosaccaridica di IgG3 criogeniche e non-criogeniche ha mostrato una correlazione inversa tra l’estensione della sialilazione e l’attività criogenica. E’ stato osservato anche che IgG3 sialilate riescono ad inibire la crioprecipitazione di IgG3 criogeniche. Al contrario, l’attività criogenica di IgG3 è associata alla presenza di aminoacidi carichi positivamente in posizione 6 e 23 del dominio variabile della catena pesante (VH). Oltre alla sequenza aminoacidica delle regioni variabili di IgG3, il contenuto di residui sialici carichi negativamente è dunque uno dei fattori critici nel determinare l’attività criogenica di IgG3 [A Critical Role for Sialylation in Cryoglobulin Activity of Murine IgG3 Monoclonal Antibodies, 2005].
Crioglobulinemie miste: una malattia da immunocomplessi
Le CM sono degli immunocomplessi, in cui l'antigene è una IgG e l'anticorpo una IgM, mono o policlonale, con attività di FR (cioè anti-IgG). Come immunocomplessi, le CM hanno la capacità di attivare il complemento. Il complemento ha la funzione di rendere solubili gli immunocomplessi e di ritardarne la precipitazione, creando le premesse per la loro rimozione dal circolo, ma nelle CM queste specifiche funzioni risultano deficitarie. La ridotta solubilizzazione e l'alterata clearance macrofagica degli immunocomplessi favoriscono il loro intrappolamento nel letto vascolare e la loro deposizione nei tessuti, dove possono stimolare una reazione infiammatoria. Si sviluppa in tal modo una malattia da immunocomplessi, istologicamente caratterizzata da lesioni infiammatorie dei vasi coinvolti e da depositi immuni negli organi bersaglio aventi la stessa composizione del crioprecipitato sierico. La vasculite crioglobulinemica colpisce prevalentemente i piccoli vasi, ma talora può estendersi a vasi di calibro medio e grande [Mixed cryoglobulinemia, 2008].
PATOGENESI
I meccanismi di produzione delle crioglobuline non sono ancora chiariti. Le crioglobuline di tipo I sono quasi esclusivamente riscontrate nelle malattie linfoproliferative maligne e la loro produzione sembra essere la conseguenza di un processo proliferativo autonomo. Nelle crioglobulinemie di tipo III la produzione di fattore reumatoide policlonale potrebbe derivare dalla cronica stimolazione del sistema immunitario da parte di immunocomplessi circolanti, come avviene nel corso di alcune malattie croniche da immunocomplessi, quali l'Artrite Reumatoide e il Lupus Eritematoso Sistemico. Questa ipotesi non è tuttavia applicabile alle crioglobulinemie di tipo II, essendo raramente documentata la produzione di fattore reumatoide monoclonale nelle malattie croniche da immunocomplessi, anche dopo decenni di malattia. L'identificazione del virus dell’epatite C come agente associato alla grande maggioranza delle crioglobuline miste definite in precedenza "essenziali" e il riscontro di specifici antigeni HCV nei crioprecipitati hanno suggerito il possibile coinvolgimento del virus nella patogenesi delle crioglobuline miste [Mixed cryoglobulinemia, 2008]. Il virus dell’epatite C è un RNA virus ad elevata eterogeneità genetica e con una forte propensione a sviluppare ceppi mutanti durante la replicazione. L'alta velocità di mutazione del genoma virale e il tropismo del virus dell’epatite C per le cellule mononucleate del sangue periferico e midollare rappresentano probabilmente i principali meccanismi di diffusione e mantenimento dell'infezione. Il virus dell’epatite C potrebbe selezionare mutanti resistenti alla risposta anticorpale e citotossica e alterare la funzione immunologica delle cellule infettate con riduzione della clearance virale e cronicizzazione dell'infezione. La prevalenza di crioglobuline miste nei pazienti con epatite cronica C si aggira intorno al 50%; nei due terzi dei casi le crioglobuline sono di tipo III e nel restante terzo di tipo II. In Italia e in Francia è riportata una prevalenza di crioglobulinemie di tipo II rispettivamente del 34 e 20%.
Manifestazioni cliniche
Nella crioglobulinemia di tipo I prevalgono i segni clinici della malattia linfoproliferativa sottostante e la crioglobulinemia costituisce spesso un reperto casuale. Non sono tuttavia infrequenti nella crioglobulinemia di tipo I, mentre sono di rara osservazione nella crioglobulinemie miste, segni di occlusione vascolare, talora associati con una sindrome da iperviscosità e lesioni purpuriche e distrofiche della cute, solitamente localizzate agli arti inferiori. Il quadro clinico della crioglobulinemie mista, descritto per la prima volta da Meltzer e Franklin nel 1966 come sindrome caratterizzata da porpora, astenia ed artralgie, non si limita a questa triade, ma assume connotati più vasti, comprendendo patologie d'organo crio-indotte, quali la nefropatia e la neuropatia periferica, e danni d'organo non crio-dipendenti, quali l'impegno epatico e la linfoproliferazione [Cryoglobulins: An Important but Neglected Clinical, 2006]. Il quadro sintomatologico è assai variabile, potendo palesarsi con fenomeni attenuati (scarse lesioni purpuriche, saltuarie artralgie) o manifestazioni cliniche severe, come la glomerulonefrite rapidamente progressiva e la vasculite sistemica.
PORPORA. E' una delle manifestazioni più precoci e frequenti della crioglobulinemie mista, essendo rilevabile in oltre l'80% dei pazienti. La porpora, intermittente, palpabile, non pruriginosa, ha carattere ortostatico, localizzandosi preferenzialmente agli arti inferiori; può estendersi anche alle cosce e, seppur raramente, al tronco, generalmente ad intervalli variabili di 7-10 giorni. Le aree in cui le gittate purpuriche tendono a ripetersi assumono col tempo una pigmentazione bruno-ocracea. La biopsia cutanea dimostra una vasculite leucocitoclastica dei capillari e delle venule post-capillari del derma superficiale con variabile coinvolgimento dei vasi sottocutanei [Mixed cryoglobulinemia, 2008]. L'immunofluorescenza rivela depositi vascolari di immunoglobuline (IgG, IgM) e/o complemento (C4). Nei pazienti crioglobulinemici con infezione da virus dell’epatite C la vasculite cutanea si caratterizza per la deposizione di immunocomplessi costituiti da HCV, IgM FR e IgG.
FENOMENO DI RAYNAUD. E' presente in circa il 25% dei pazienti al momento della diagnosi e, pur coinvolgendo tutte le estremità, non è in genere associato a turbe trofiche. E' presumibilmente riferibile a disfunzione endoteliale con riduzione del tono vasodilatante e prevalenza del tono vasocostrittore.
ARTRALGIE. E' presente in circa il 25% dei pazienti al momento della diagnosi e, pur coinvolgendo tutte le estremità, non è in genere associato a turbe trofiche. E' presumibilmente riferibile a disfunzione endoteliale con riduzione del tono vasodilatante e prevalenza del tono vasocostrittore.
NEFROPATIA CRIGLOBULINEMICA. Il coinvolgimento renale è denunciato da alterazioni urinarie isolate con valori di creatinina sierica inizialmente normali o lievemente aumentati e in alcuni casi da sindrome nefritica acuta o sindrome nefrosica con progressione verso l'insufficienza renale cronica. L'esito in uremia è relativamente poco frequente e sono anche riportate remissioni spontanee. Istologicamente la nefropatia presenta gli aspetti della glomerulonefrite membrano-proliferativa con trombi intracapillari, che all'immunofluorescenza risultano costituiti da complemento e immunoglobuline identiche a quelle delle crioglobuline.
NEUROPATIA PERIFERICA. L'interessamento neurologico, rivelato da parestesie, disestesie dolorose, debolezza muscolare, sensazioni di bruciore e dolori a "puntura di spillo" alle gambe, configura una polineuropatia sensitivo-motoria distale simmetrica. Sintomi soggettivi di neuropatia e alterazioni elettromiografiche sono stati riscontrati rispettivamente nel 91% e nell'82% dei pazienti affetti da crioglobulinemie miste. Il danno neurologico potrebbe essere causato da demielinizzazione immuno-mediata, da occlusione dei vasa nervorum da parte di precipitati crioglobulinemici o da vasculite dei vasi epineurali. La dimostrazione di HCV RNA nelle cellule mononucleate, disposte attorno alle arteriole epineurali nelle biopsie del nervo surale di pazienti con crioglobulinemie di tipo II, suggerisce un possibile ruolo del virus nella patogenesi della neuropatia crioglobulinemica.
EPATOPATIA. Un coinvolgimento epatico è riportato in oltre i due terzi di tutte le crioglobulinemie e in tutte le crioglobulinemie di tipo II associate ad infezione cronica da virus dell’epatite C. Il riscontro di infiltrati linfoidi a livello degli spazi portali, talora con localizzazione elettiva perivascolare, ha suggerito analogie con la vasculite crioglubilemica, ma non esistono dimostrazioni sicure di una attività epatolesiva delle crioglobuline in qualità di immunocomplessi.
LINFOPROLIFERAZIONE. Nelle crioglobulinemie di tipo II associate all'infezione da virus dell’epatite C sono frequentemente documentati a livello epatico, splenico e midollare infiltrati linfoidi, costituiti in prevalenza da cellule B monomorfe con Ig di superficie dello stesso tipo della componente monoclonale del crioprecipitato. La linfoproliferazione B cellulare ha carattere benigno, ma studi compiuti su ampie casistiche di crioglobulinemie di tipo II definite essenziali hanno dimostrato lo sviluppo di linfomi non-Hodgkin dopo prolungato follow-up.
ALTRE MANIFESTAZIONI CLINICHE. Nelle crioglobulinemie di tipo II associate all'infezione da virus dell’epatite C sono frequentemente documentati a livello epatico, splenico e midollare infiltrati linfoidi, costituiti in prevalenza da cellule B monomorfe con Ig di superficie dello stesso tipo della componente monoclonale del crioprecipitato. La linfoproliferazione B cellulare ha carattere benigno, ma studi compiuti su ampie casistiche di crioglobulinemie di tipo II definite essenziali hanno dimostrato lo sviluppo di linfomi non-Hodgkin dopo prolungato follow-up.
INDAGINI LABORATORISTICHE
Le crioglobuline presenti nel siero sono caratterizzate mediante immunofissazione [Cryoglobulinaemia: clinical and laboratori perspectives, 2008], [Cryoglobulin: recherche, typage et quantification. Étude chez le sujet sain et chez des patients atteints d’une hépatite C chronique, 2005]. L'elettroforesi delle proteine sieriche può mostrare picchi monoclonali in presenza di crioglobulinemie di tipo I o II. La dimostrazione di immunocomplessi circolanti nel sangue si associa alla caratteristica caduta del complemento nel siero per attivazione della via classica con conseguente diminuzione delle frazioni C1 e C4. L'ipocomplementemia è presente nel 90% dei pazienti e aiuta a differenziare la vasculite crioglobulinemica dalle vasculiti ANCA-associate, che sono normo- o ipercomplementemiche.
E' comune il riscontro nel siero di autoanticorpi (anti-GOR, anti-Sm, anti-LKM, ANA, ENA, AMA, ANCA, anti-tiroide), che possono complicare la diagnosi differenziale tra malattie autoimmuni con vasculite crioglobulinemica secondaria e vasculite crioglobulinemica associata ad infezione da HCV con fenomeni autoimmuni.
La possibilità di una infezione da HCV deve essere ricercata mediante la determinazione degli anticorpi anti-HCV e/o di HCV RNA nel siero. Se questi test risultano negativi ed è ancora presente il sospetto di infezione da HCV (perché, ad es., sono alterati i valori delle aminotransferasi), è giustificata la ricerca di anticorpi anti-HCV e di HCV RNA anche nel crioprecipitato.
Una volta esclusa l'infezione da HCV, le indagini devono essere indirizzate verso altre patologie (infettive, autoimmuni, mielo-linfoproliferative).
Terapia
Il trattamento delle crioglobulinemie di tipo I si identifica con quello della malattia sottostante. Più complessa e diversificata è la terapia delle crioglobulinemie miste, che hanno una genesi polifattoriale e si riscontrano in un'ampia varietà di condizioni cliniche. Il trattamento è indirizzato a rimuovere le cause responsabili della sindrome (ad es., malattie autoimmuni, infezioni acute o croniche) e a controllare le complicanze flogistiche connesse con la precipitazione a livello d'organo o apparato delle crioglobuline.
NORME GENERALI DI COMPORTAMENTO. E' opportuno raccomandare ai pazienti crioglobulinemici di evitare l'esposizione alle basse temperature e la stazione eretta prolungata, perché il freddo e la postura sembrano favorire la deposizione delle crioglobuline alle estremità e l'esacerbazione della porpora.
TRATTAMENTO DELLA SINDROME CRIOGLOBULINEMICA ASSOCIATA AD INFEZIONE DA HCV. Prima che fosse dimostrata la stretta associazione tra crioglobulinemie miste e infezione da HCV, il trattamento era rivolto a sopprimere l'iperattività immunoproliferativa che accompagna la sindrome crioglobulinemica e a tal fine venivano impiegati corticosteroidi e farmaci citotossici, quali il clorambucil, l'azatioprina e la ciclofosfamide, pur in mancanza di chiare evidenze di efficacia. In combinazione o in alternativa con tale trattamento sono state anche impiegate la plasmaferesi o la crioaferesi nella convinzione che la rimozione delle crioglobuline dal circolo potesse migliorare la viscosità ematica, il criocrito e le condizioni cliniche [Cryoglobulins, 2008], [Cryoglobulinaemia: clinical and laboratori perspectives, 2008]. L'a-interferone (aIFN), che si era già rivelato efficace in alcune patologie linfoproliferative (come la "hairy cell leukemia" o i linfomi a basso grado di malignità), è stato successivamente introdotto nella terapia della CM per il suo effetto immunomodulante e antiproliferativo. Ma è solo dopo la scoperta del ruolo eziologico di HCV nello sviluppo della sindrome crioglobulinemica che si è ampliato il livello di intervento dell'aIFN, per cui, oltre che per inibire la linfoproliferazione e (ri)-modulare la risposta immune, il farmaco ha trovato impiego come agente antivirale.
L'impiego della terapia interferonica nella sindrome crioglobulinemica HCV-correlata si basa sul presupposto che la proliferazione B-linfocitaria sia antigene-dipendente e quindi potenzialmente responsiva alla riduzione della carica antigenica.
Benchè tutti i pazienti crioglobulinemici HCV+ siano potenziali candidati alla terapia con aIFN, la decisione di trattare deve tener conto di numerose variabili: l'età dei pazienti, la durata e la gravità della malattia, lo stato clinico generale, la probabilità di risposta e altre condizioni cliniche che possono diminuire l'aspettativa di vita o controindicare il trattamento.
La terapia interferonica risulta efficace nel controllare i segni di malattia in oltre il 50% deipazienti, ma la sua interruzione è generalmente seguita da recidive viremiche e crioglobulinemiche, cosicchè meno del 25% dei pazienti rimane in remissione. L'osservazione che i miglioramenti clinici compaiono solo nei pazienti con caduta di HCV RNA nel siero suggerisce che l'efficacia di aIFN è direttamente correlata con la sua attività antivirale. Rimangono ancora da stabilire dosi e durata del trattamento con aIFN. L'impiego dei corticosteroidi non influenza l'efficacia della terapia interferonica , che sembra invece potenziata dalla Ribavirina, un analogo sintetico della guanosina, che oltre ad esercitare un'azione antivirale diretta svolgerebbe anche un'azione immunomodulante. Recenti studi controllati in pazienti con epatite cronica da virus C hanno dimostrato che la percentuale di remissioni viremiche durature è due volte più alta con l'associazione aIFN + Ribavirina che con il solo aIFN. Non sono però ancora disponibili risultati sull'impiego della combinazione aIFN + Ribavirina nella sindrome crioglobulinemica associata ad infezione cronica da HCV.
I corticosteroidi e gli agenti citotossici (come la ciclofosfamide o il clorambucil), comportando il rischio di aumentare la replicazione virale ed il danno epatico, non sarebbero da considerare farmaci di prima scelta nel trattamento della sindrome crioglobulinemica HCV-correlata e, comunque, non dovrebbero essere impiegati per periodi prolungati. La terapia immunosoppressiva, eventualmente combinata con la plasmaferesi o la crioaferesi, potrebbe tuttavia rivestire un ruolo importante: (i) nelle acute esacerbazioni della malattia (ad es., nella glomerulonefrite rapidamente progressiva, nella neuropatia motoria, nella sindrome da iperviscosità); (ii) nei pazienti resistenti al trattamento antivirale con alti livelli sierici di crioglobuline e fenomeni vasculitici; (iii) nei casi in cui la produzione di immunoglobuline monoclonali continua dopo la soppressione della viremia per effetto di una proliferazione B-linfocitaria diventata autonoma.
COLCHICINA. Viene utilizzata nella crioglobulinemie miste per le sue proprietà antiinfiammatorie e antiproliferative. In uno studio aperto, non controllato, la colchicina, alla dose di 1 mg/die, ha determinato miglioramenti clinici e laboratoristici, soprattutto nei primi 6-12 mesi di trattamento. E' generalmente ben tollerata. Gli effetti collaterali più frequenti sono a carico dell'apparato gastroenterico.
CORTICOSTEROIDI. Basse dosi di corticosteroidi (metilprednisolone 0,1-0,3 mg/kg) potrebbero essere impiegate per la terapia sintomatica della porpora e delle artralgie, ma devono essere tenuti presenti gli importanti effetti collaterali del trattamento e, nei pazienti HCV+, il rischio di aumento della viremia.
BIBLIOGRAFIA
1) Cryoglobulins, 2008
2) Cryoglobulins: An Important but Neglected Clinical, 2006
3) Mixed cryoglobulinemia, 2008
4) Cryoglobulinaemia: clinical and laboratori perspectives, 2008
5) Cryoglobulin: recherche, typage et quantification. Étude chez le sujet sain et chez des patients atteints d’une hépatite C chronique, 2005.
6) Cl- regulates cryoglobulin structure: a new hypothesis for the physiopathological mechanism of temperature non-dependent cryoprecipitation, 2004.
7) A Critical Role for Sialylation in Cryoglobulin Activity of Murine IgG3 Monoclonal Antibodies, 2005.