MIELOMA MULTIPLO
Diseases

Author: Erald Cipi
Date: 21/02/2013

Description

Il Mieloma Multiplo è una malattia del midollo osseo dovuta ad una crescita eccessiva di un particolare tipo di cellule che vengono chiamate plasmacellule. Le plasmacellule malate producono una grande quantità di una proteina, chiamata Componente Monoclonale o Componente M, che non è altro che un tipo particolare di anticorpo. La Componente M contribuisce alla comparsa dei sintomi tipici del Mieloma Multiplo.

• Sintomi

In 1/3 dei casi la diagnosi di Mieloma Multiplo è casuale e, pertanto, in questi pazienti la malattia è asintomatica. Tuttavia, se non si interviene con le cure appropriate, la malattia è destinata inesorabilmente a progredire. Nei 2/3 dei casi la malattia è sintomatica fin dall'esordio. Il sintomo più comune è il dolore osseo, più frequentemente localizzato alla colonna vertebrale, anche se, in realtà, può interessare qualunque segmento scheletrico del corpo. Il dolore è frequentemente associato alla presenza di una frattura patologica, dovuta all'indebolimento localizzato dell'osso stesso da parte della malattia. In alcuni casi il dolore osseo può accompagnarsi ad un dolore di tipo nervoso, come nella sciatica, dovuto allo schiacciamento dei nervi da parte delle strutture ossee fratturate.
La stanchezza è un altro disturbo che frequentemente si osserva e l'anemia ne è la causa principale.
Frequentemente il Mieloma Multiplo si associa ad insufficienza renale. Il più delle volte l'insufficienza renale è asintomatica, ossia viene scoperta con gli esami del sangue senza che il paziente presenti specifici disturbi. Pur essendo clinicamente silente, in assenza di opportuni trattamenti l'insufficienza renale è destinata a peggiorare, costituendo così una temibile conseguenza della malattia.
Un altro disturbo che si può riscontrare in pazienti affetti da Mieloma Multiplo è l'ipercalcemia. L'ipercalcemia è conseguente all'esteso danno osseo indotto dalle plasmacellule e determina un quadro clinico caratterizzato da sonnolenza, debolezza muscolare, alterazioni del ritmo cardiaco e stitichezza.
Meno di frequente, nel paziente affetto da Mieloma Multiplo è possibile osservare neuropatia, ossia un malfunzionamento dei nervi, con conseguente riduzione del senso del tatto e con difficoltà a muovere i muscoli.
Infine, i pazienti affetti da Mieloma Multiplo sono spesso più suscettibili alle infezioni. Anche in questo caso la causa è da ricercare nell'indebolimento delle difese immunitarie causato dalla malattia stessa.

• Origine della malattia

Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti degli enormi passi avanti nella comprensione dei meccanismi di funzionamento della cellula tumorale, tuttavia sono ancora ignoti i fattori che portano all'insorgenza dei tumori. La ricerca ha mostrato che la probabilità di ammalarsi di un tumore è legata principalmente a due fattori:
• le caratteristiche genetiche dell'individuo
• fattori ambientali.

Per quanto riguarda il Mieloma Multiplo, la componente genetica è scarsamente rilevante, tanto che si può tranquillamente affermare che il Mieloma Multiplo non è una malattia ereditaria, ossia chi ha un parente stretto ammalato di Mieloma Multiplo ha un rischio di sviluppare la malattia del tutto simile a quello di chi non ha parenti affetti.
Gli studi epidemiologici hanno invece mostrato come i fattori ambientali possano influenzare la probabilità di sviluppare la malattia. Infatti il fumo, l'esposizione ad elevati livelli di pesticidi, a solventi derivati dal petrolio ed a radiazioni aumentano il rischio di sviluppare il Mieloma Multiplo. Infine, una condizione predisponente allo sviluppo del Mieloma Multiplo è la Gammopatia Monoclonale di Significato Incerto (MGUS).
Il Mieloma Multiplo insorge quando una serie di eventi non meglio precisati trasforma una plasmacellula normale in plasmacellula tumorale. La plasmacellula normale è una cellula che normalmente si trova nel midollo osseo, quindi all'interno di tutte le ossa, e che svolge il compito di produrre anticorpi, che ci difendono dalle infezioni. La plasmacellula tumorale mantiene questa capacità e pertanto produce una grande quantità di anticorpi che, insieme, costituiscono la Componente M. La Componente M viene riscontrata mediante un esame del sangue comunemente prescritto e chiamato elettroforesi delle proteine sieriche. Grazie a questa analisi, che è normalmente compresa tra i comuni esami del sangue, è possibile scoprire circa 1/3 dei casi di Mieloma Multiplo in una fase molto precoce, ossia prima che la malattia abbia provocato danni irreparabili. Oltre a produrre la Componente M, le plasmacellule rilasciano una grande quantità di particolari sostanze solubili, chiamate citochine, che hanno lo scopo di favorire la crescita delle plasmacellule a discapito delle cellule sane circostanti.
Sono quindi numerosi i fattori che concorrono a determinare la sintomatologia del Mieloma Multiplo:
• la crescita delle cellule tumorali, che producono lesioni ossee e masse extra-ossee
• la produzione di Componente M che, depositandosi nel rene e nei nervi, ne provoca danni irreversibili
• la liberazione di citochine, che, inducendo l'attività di particolari cellule, determinano la distruzione dell'osso e che, deprimendo la funzione del midollo osseo, riducono la produzione di globuli rossi, causando anemia.

• Diagnosi e prognosi

In 1/3 dei casi la diagnosi di Mieloma Multiplo è casuale ed avviene in seguito al riscontro della Componente M con l'esecuzione di normali esami del sangue di controllo. Nei rimanenti 2/3 dei casi la malattia viene scoperta in seguito alla presenza di sintomi, il più delle volte dolore osseo. Una volta che si ha il sospetto di Mieloma Multiplo, è necessario eseguire una serie di esami che servono a capire il grado di estensione della malattia.

Quindi:
• esami del sangue
• esame dell'urina
• radiografia di tutto lo scheletro, per ricercare lesioni ossee
• aspirato midollare e biopsia ossea.
In alcuni casi particolari può essere opportuno eseguire una Risonanza Magnetica Nucleare della colonna vertebrale e/o la PET.

In base a studi eseguiti su molti pazienti sono stati riscontrati alcuni fattori che, già presenti alla diagnosi, permettono di prevedere la probabilità di risposta alle terapie e, in sostanza, l'attesa di vita del paziente. I più vecchi fattori prognostici sono rappresentati da:
• quantità di Componente M
• valore dell'emoglobina
• valore della calcemia
• presenza di lesioni ossee
• funzionalità renale
• beta2microglobulina
• proteina C reattiva
• frazione di crescita delle plasmacellule.
Negli ultimi anni è diventato sempre più importante, ai fini prognostici, una valutazione dei cromosomi delle plasmacellule. Tale tipo di analisi può essere effettuata con uno studio in toto dei cromosomi delle cellule midollari (citogenetica), oppure con una valutazione mirata verso determinate alterazioni genetiche (FISH). In particolare si segnalano le seguenti alterazioni genetiche per la loro importanza clinica:
• perdita di parte del cromosoma 13, presente nel 50% dei casi.
• scambio di materiale genetico tra il cromosoma 4 ed il cromosoma 14, presente nel 15% dei casi.
• perdita di parte del cromosoma 17, presente nel 10% dei casi.
La presenza di alterazioni genetiche con particolari caratteristiche negative (es. traslocazione tra il cromosoma 4 ed il cromosoma 14, perdita di parte del cromosoma 17) può guidare i curanti ad optare per un programma di trattamento più aggressivo.
• Terapie

Il Mieloma Multiplo è una malattia tumorale che viene curata con la chemioterapia. Fino a 10 anni fa, il trattamento standard consisteva nell'impiego di farmaci chemioterapici per bocca. Successivamente si è visto che il ricorso al trapianto di midollo osseo autologo, detto anche autotrapianto di midollo osseo, consentiva di ottenere un maggior numero di risposte, con il raggiungimento della remissione completa in un 30-50% dei casi, contro il 5% nel caso dell'impiego della chemioterapia per bocca. La remissione completa, ossia la scomparsa dei segni di malattia, rappresenta un importante traguardo, dal momento che il paziente in remissione completa ha un miglioramento della qualità di vita e della sopravvivenza. Tuttavia, nel corso degli anni si è notato che, per quanto l'autotrapianto di midollo osseo abbia migliorato l'aspettativa di vita, la malattia ricompare nella gran parte dei casi trattati. Si è quindi cercato di migliorare i risultati clinici facendo ricorso al trapianto di midollo osseo allogenico, dal momento che aveva mostrato una buona efficacia nel trattamento di altri tumori ematologici. I dati iniziali relativi all'impiego del trapianto di midollo osseo allogenico sono stati piuttosto insoddisfacenti, a causa dell'elevata mortalità trapiantologica. Successivamente, il miglioramento delle tecniche di trapianto e l'impiego di questa terapia in pazienti con malattia meno avanzata ha consentito di ottenere risultati molto incoraggianti. In particolare si è osservato un elevato numero di remissioni complete, di durata mediamente più lunga rispetto a quelle ottenute dopo autotrapianto di midollo. Negli ultimi anni sono state sviluppate strategie innovative di trapianto che hanno permesso di mantenere un elevato numero di remissioni complete durature a fronte di una mortalità estremamente ridotta.
A questo vasto panorama si è aggiunto dal 2000 un vecchio farmaco, il Talidomide, dal passato nefasto, ma di cui sono state scoperte delle importanti proprietà anti-Mieloma. Il Talidomide ha infatti mostrato di essere efficace nel trattamento di pazienti affetti da Mieloma Multiplo e resistenti alle chemioterapie. I progressi della ricerca medica hanno permesso di sviluppare nuovi farmaci attivi verso il Mieloma Multiplo. Dei tanti che sono ancora in fase di sperimentazione, due sono disponibili nella pratica clinica: Bortezomib (Velcade®) (disponibile in Europa ed America) e Lenalidomide (Revlimid®) (disponibile in America e, a breve, anche in Europa). Entrambi sono farmaci attivi nei confronti della malattia ricaduta dopo chemioterapia, in quanto sfruttano un meccanismo di azione antitumorale profondamente diverso rispetto a quello dei chemioterapici tradizionali, consentendo quindi di attaccare anche quelle cellule che hanno mostrato segni di resistenza nei confronti delle medicine utilizzate nelle fasi di terapia precedenti.
Da questa descrizione si comprende come la terapia del Mieloma Multiplo sia estremamente varia. La scelta del tipo di trattamento viene fatta in base ai fattori prognostici, all'età del paziente, alla disponibilità di un donatore di midollo ed al tipo di risposta che si ottiene con i primi cicli di chemioterapia.

1. Chemioterapia

Possiamo distinguere due diverse aree di trattamento del Mieloma Multiplo in base all'età del paziente. In tutti i casi si fa utilizzo a chemioterapia, associata o meno a farmaci di nuova generazione.
Trattamento del paziente di età superiore a 65 anni.

Il trattamento standard del paziente anziano è rappresentato da un'associazione per bocca di tre differenti farmaci: Melfalan (un tipo di chemioterapico) +Prednisone (un tipo di cortisonico) + Talidomide. Tale combinazione di farmaci prevede l'assunzione di Melfalan e Prednisone per bocca per 4 giorni ogni 4-6 settimane. È prevista invece l'assunzione quotidiana e continua di Talidomide, sempre per bocca. Tale tipo di chemioterapia è generalmente ben tollerato, non dà nausea, non fà cadere i capelli, non richiede il ricovero ospedaliero in quanto le medicine vengono assunte a casa. Va comunque segnalato come vi possano essere dei problemi sono rappresentati dal fatto che il Melfalan può dare una modesta tossicità a livello del midollo osseo. Per questo motivo è importante che l'ammalato sia seguito con cadenza settimanale o bisettimanale dall'ematologo di riferimento, al fine di impostare le terapie necessarie per evitare che si manifestino problemi legati alla carenza di globuli bianchi (cioè infezioni), oppure di piastrine e di globuli rossi. Per quanto raro, non si può escludere che un paziente in trattamento necessiti di trasfusioni di sangue o di piastrine durante la fase di terapia. Oltre ai disturbi legati al Melphalan, si può fare cenno ai modesti disturbi legati al Prednisone, che sono tutti di entità limitata, ossia: stato di attivazione (si può fare fatica a dormire), ritenzione di liquidi, rossore al volto, aumento temporaneo della pressione e della glicemia. Vanno infine segnalati per la notevole importanza i disturbi dovuti all'assunzione della Talidomide. Paradossalmente tale farmaco, pur non essendo un chemioterapico, è il peggiore sotto l'aspetto della tollerabilità. Ciò che disturba principalmente chi ne fa uso è un senso di sonnolenza, di "testa vuota" e di vertigine, ma, in particolare, una forte stitichezza che, quasi sempre, richiede l'impiego di lassativi. A volte la stitichezza è tale da richiedere una riduzione della dose del farmaco. Inoltre, in particolare nei primi mesi di trattamento, esiste un rischio consistente di formazione di coaguli nelle vene delle gambe (trombosi venosa profonda). Tale effetto collaterale è di particolare rilevanza e si verifica nel 10% dei casi. L'impiego di farmaci anticoagulanti a scopo preventivo permette di ridurre, ma non annullare, l'incidenza di tale complicanza. Infine, l'uso prolungato di Talidomide può determinare un quadro di neuropatia periferica, ossia l'insorgenza di danni ai nervi periferici con un quadro clinico caratterizzato, nelle forme più leggere, da formicolio alla punta delle dita dei piedi, che con il tempo può risalire fino alla gamba e giungere ad interessare le mani. La neuropatia periferica è, almeno nelle prime fasi, reversibile, purché si provveda ad una riduzione o ad una sospensione del dosaggio del farmaco. Benché l'elenco dei possibili disturbi legati al trattamento con Melfalan + Prednisone + Talidomide sia importante, va però detto che tale tipo di terapia è nel complesso discretamente tollerato e che, in particolare, gran parte degli effetti collaterali, soprattutto quelli legati a Talidomide, vanno incontro ad adattamento una volta che si prosegua con l'assunzione dei farmaci. In generale i benefici legati all'impiego di Talidomide superano di gran lunga i rischi dovuti al farmaco. I cicli di Melfalan + Prednisone + Talidomide vengono proseguiti fino al 6° o 9° ciclo, in ragione della tolleranza individuale e della risposta clinica. Tale tipo di trattamento ha permesso di portare il numero di pazienti che rispondono al 75%, contro il 45% del trattamento di vecchia generazione (Melfalan + Prednisone), con un 15% di pazienti che raggiungono la remissione completa (2% con il trattamento di vecchia generazione). A due anni dal termine della terapia il 55% dei pazienti mantiene ancora la risposta clinica precedentemente ottenuta (25% con il trattamento di vecchia generazione).

Trattamento del paziente di età inferiore o uguale a 65 anni.
Il trattamento standard del paziente giovane era in passato rappresentato da un'associazione di farmaci chemioterapici, solitamente Vincristina (un chemioterapico) + Adriblastina (un chemioterapico) + Desametazone, (un cortisonico) (ciclo VAD). Solo di recente è stato dimostrato che l'associazione diDesametazone e Talidomide permette di ottenere risultati clinici significativamente superiori, pertanto tale combinazione ha sostituito la precedente nella gran parte dei casi. Lo schema di trattamento prevede la somministrazione per bocca di Desametazone per 4 mesi ai giorni 1-2-3-4, 9-10-11-12 e 17-18-19-20 del 1° e 3° mese, mentre nel 2° e 4° mese il farmaco viene assunto solo nei giorni 1-2-3-4. Tale approccio terapeutico ha permesso di aumentare considerevolmente il numero di pazienti che ottengono una risposta clinica (75% dei casi trattati con Desametazone e Talidomide rispetto al 50% dei pazienti trattati con VAD). In generale la terapia Desametazone e Talidomide è discretamente tollerata, gli effetti collaterali di rilievo sono scarsi e, va segnalato, non determina la caduta dei capelli. Una volta effettuata la fase iniziale di trattamento, che serve a risolvere la sintomatologia della malattia ed a effettuare una "pulizia" a livello del midollo osseo, si procede con la fase successiva della raccolta delle cellule staminali e del trapianto di midollo osseo autologo.

2. Il trapianto di midollo osseo autologo (autotrapianto)

I buoni risultati ottenuti trattando il Mieloma Multiplo con i chemioterapici hanno spinto ad usare dosi progressivamente crescenti di questi farmaci. Esiste infatti una correlazione diretta tra dosaggio del farmaco chemioterapico e la risposta della malattia, ossia più farmaco si somministra tanto maggiore è la distruzione delle cellule malate. Tuttavia, gli effetti collaterali della chemioterapia impediscono di raggiungere dosi troppo elevate. Gli organi hanno una sensibilità differente all'azione dei chemioterapici e, come in una scala, si può affermare che il midollo osseo sia quello posto al gradino più basso, ossia l'organo maggiormente delicato sotto questo aspetto. Quindi, il maggior limite alla crescita di dosaggio dei chemioterapici è rappresentato proprio dalla tossicità midollare. Qualora fosse possibile ovviare ai problemi della tossicità midollare, al gradino successivo si incontrerebbe la tossicità intestinale, e così via. In effetti, il trapianto di midollo osseo autologo ha consentito di superare il limite imposto dalla tossicità midollare. Questo importante traguardo è stato reso possibile dal riconoscimento, all'interno del midollo osseo, di particolari cellule, chiamate cellule staminali, che, se iniettate in sufficiente quantità, sono in grado di rigenerare dal nulla un nuovo midollo. Si comportano quindi come dei veri e propri semi, che, opportunamente seminati, possono ricreare una normale funzione midollare. L'impiego delle cellule staminali è alla base del trapianto di midollo osseo autologo. Inizialmente le cellule staminali venivano prelevate direttamente dal midollo, con una procedura chiamata espianto di midollo. Successivamente si è scoperto che, con opportuni accorgimenti, ossia associando un particolare tipo di farmaco chemioterapico con una medicina che stimola il midollo, è possibile far passare le cellule staminali nel sangue circolante e quindi prelevarle direttamente dalle vene delle braccia, con una procedura chiamata leucaferesi. Grazie alla leucaferesi è possibile raccogliere un gran numero di cellule staminali di buona qualità, sufficienti per uno o più trapianti di midollo Attualmente la stimolazione midollare associata alla leucaferesi è la metodica di scelta nel trattamento del paziente affetto da Mieloma Multiplo. Le cellule staminali, sia raccolte dal midollo che prelevate dalle vene delle braccia, vengono poi congelate e possono essere conservate per oltre un decennio. Per diversi anni è stato fatto il tentativo di ripulire dalle cellule malate contaminanti (purging) le cellule staminali da reinfondere, nella speranza che questo potesse ridurre il numero di recidive dopo autotrapianto. In realtà, per quanto affascinante sul piano teorico, la pratica del purging non ha dato i risultati sperati ed è stata abbandonata.
Il trapianto di midollo può essere singolo oppure, come spesso accade, essere seguito a pochi mesi di distanza da un secondo autotrapianto.
Per quel che riguarda i risultati, grazie al doppio autotrapianto di midollo è possibile ottenere una risposta circa nell' 80% dei casi, con un 40-50 di remissioni complete. La durata media delle risposte è di circa 3 anni. La mortalità legata al trapianto è dell'1-2.

Nel caso in cui sia stata posta l'indicazione all'autotrapianto di midollo, una volta che sia stata diagnosticata la malattia il paziente esegue una fase iniziale di trattamento, in generale con il ciclo Desametazone e Talidomide, che serve per ridurre il numero delle cellule malate. Successivamente si somministra un farmaco chemioterapico, chiamato Ciclofosfamide, che, associato all'impiego del fattore di crescita (che viene somministrato a casa per via sottocutanea), permette di raccogliere le cellule staminali mediante leucaferesi. Una volta ottenute le cellule staminali, è possibile passare all'ultima fase del trattamento: l'autotrapianto di midollo.
L'autotrapianto di midollo osseo consiste nella somministrazione endovenosa di un alto dosaggio di un farmaco chemioterapico, estremamente attivo nei confronti delle cellule di Mieloma Multiplo, chiamato Melfalan. A distanza di 24 ore si infondono dal catetere le cellule staminali precedentemente raccolte e criopreservate. Dopo 5 giorni si verifica la discesa dei valori dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine, con conseguente rischio di comparsa di febbre ed eventuale necessità di eseguire delle trasfusioni di emoderivati. A distanza di 10-12 giorni dalla reinfusione delle cellule staminali si ha la ripresa delle normale funzione midollare, con recupero dei valori di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine. A questo fa seguito la dimissione del paziente. La degenza media del ricovero per autotrapianto è di circa 13-14 giorni. Va segnalato come gli eventuali problemi che insorgono durante il ricovero (es. febbre, che richiede l'impiego endovenoso di antibiotici), si risolvano in genere con la ricrescita del nuovo midollo. In base al numero di cellule staminali raccolte, ad un primo autotrapianto ne può fare seguito un secondo, che di solito migliora ulteriormente l'efficacia del trattamento.
In termini temporali, dalla diagnosi alla conclusione delle terapie passa un intervallo di tempo variabile tra 6 e 9 mesi, infatti: 5 mesi sono richiesti per i cicli convenzionali, la chemioterapia di mobilizzazione delle cellule staminali e la loro raccolta, poi vi sono 2-3 settimane di pausa, ed infine il periodo dell'autotrapianto. Nel caso in cui segua un secondo autotrapianto, bisogna considerare un intervallo di 2-3 mesi tra il primo ed il secondo autotrapianto.
In termini di degenza, tutta la prima fase (Desametazone + Talidomide) viene effettuata in regime ambulatoriale. La Ciclofosfamide viene somministrata in regime di ricovero, con una degenza media di 3 giorni. La leucaferesi viene eseguita in regime ambulatoriale. Ciascun trapianto di midollo richiede una degenza di circa 14 giorni.

3. Terapia di mantenimento

Poiché il Mieloma Multiplo è una malattia inguaribile con le terapie attuali, che però trae beneficio dai trattamenti, fino al punto da essere resa "cronica" per lunghi periodi di tempo, ci si è posti il problema di evitare le ricadute di malattia dopo autotrapianto.
Per tale motivo è stato introdotto il concetto di mantenimento, ossia di una terapia di facile assunzione (es. pillole), scarsamente tossica, che abbia la finalità di prolungare l'azione terapeutica.
Fino al 2000 veniva effettuata una terapia di mantenimento con Interferone, un farmaco spesso mal tollerato per i suoi effetti collaterali, in particolare febbre, dolori articolari e sintomatologia simil-influenzale. Tale modalità di mantenimento è stata poi completamente abbandonata quando una valutazione più approfondita ha permesso di dimostrare un'efficacia molto limitata in termini di riduzione della probabilità di ricaduta. L'aggiunta all'attuale armamentario terapeutico della Talidomide ha messo a disposizione un farmaco con caratteristiche valide per il mantenimento (assunzione per bocca, scarsa tossicità a basse dosi, meccanismo d'azione antitumorale differente dai farmaci utilizzati nell'autotrapianto). Sono stati effettuati 2 studi clinici importanti a questo proposito ed i risultati che ne sono emersi sono contrastanti.
Pertanto, ad oggi, non è ancora completamente chiaro se il mantenimento con Talidomide apporti benefici concreti. È comunque molto probabile che i pazienti che non hanno raggiunto una risposta clinica completa con l'autotrapianto possano beneficiare da un trattamento successivo con Talidomide.

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